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aedilweb.it - edilizia in rete: Indice delle guide |
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1 - Prefazione | Nessuno può negarlo: i rapporti con il condominio sono spesso una seccatura e comportano quasi sempre grosse spese. Ma sono pochi a sospettare che, a certe condizioni, possono anche fruttare guadagni: denaro sonante che finisce nelle tasche di ciascun proprietario del palazzo. Come? Valorizzando quel che si possiede e che, magari, ci si dimentica di avere.
Si sta parlando degli spazi comuni, quelli inutilizzati ma anche quelli che possono vedersi aggiungere funzioni diverse. Quelli racchiusi tra le quattro mura ma anche quelli all'aria aperta. Tra i primi, le cantine e i sottotetti inutilizzati o i locali del portiere abbandonati. Tra i secondi i cortili vasti, i tetti pendenti e quelli piani, i muri privi di finestre e le impalcature delle ristrutturazioni.
Le situazioni più interessanti di guadagno sono:
- l’affitto o la vendita dell’ex portineria o di altri spazi che avevano un tempo altre destinazioni (per esempio un seminterrato che ospitava le caldaie, ora alloggiate in un casotto esterno o sul tetto);
- l’utilizzo dei muri ciechi o delle impalcature delle ristrutturazioni per cartelloni pubblicitari;
- l’affitto dei tetti e delle terrazze per antenne di telefonia cellulare;
- l’utilizzo dei cortili o dei giardini comuni per costruire parcheggi interrati;
- lo sfruttamento dei sottotetti condominiali e privati;
A ciascuna di queste possibilità, dedichiamo un’ apposita analisi.
Quando, la conversione dell’uso della parte condominiale prevede lavori edili, resta sempre possibile godere della detrazione del 36% sul recupero, abbattendo così la spesa di più di un terzo.
Il principale ostacolo resta la mancata coesione tra condomini nelle scelte. Sia il codice civile che la giurisprudenza, infatti, pretendono che ogni decisione sia presa a larga maggioranza, e talvolta all’unanimità.
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2 - Tabelloni pubblicitari | Il settore è in Italia rigidamente ripartito in due differenti specializzazioni, gestite da aziende diverse. Da una parte vi è la pubblicità tradizionale (tabelloni con manifesti di sei metri per tre, insegne luminose sui tetti o sui lastrici solari e, meno adatti ai condomini, maxiposter luminosi di 8 o 12 metri per 4, che si autoreggono su pali, più comuni nei parcheggi).Dall’altra vi sono i cosiddetti “teli pittorici”, che sono opere uniche, di dimensioni che si adattano agli spazi esistenti (in media da 140 a 300 metri quadrati, ma i regolamenti comunali possono stabilire le dimensioni massime consentite). Questi ultimi hanno non hanno come scopo quello di propagandare un prodotto, ma l'immagine di una società, o meglio la sua “filosofia”. Sono studiati per avere un forte impatto emotivo su chi guarda, per stupirlo e magari anche un po’ per scandalizzarlo.
I tabelloni tradizionali sono ovviamente quelli che hanno un mercato più vasto, diffuso in tutti i centri medio-grandi, dai capoluoghi di provincia fino ai comuni più popolosi. A dettare i canoni è la visibilità e la zona: arterie di grande scorrimento, strade pedonali, meglio se chic, collocazione vicino ai supermercati o alle zone fieristiche, zone commerciali. Ovviamente le posizioni frontali rispetto a chi percorre le strade sono le preferite. L'installazione è possibile sui frontespizi ciechi dei palazzi ma è più comune sulle impalcature di immobili in via di ristrutturazione. In quest’ultimo caso, per coprire le spese di installazione, il cantiere deve durare almeno un anno e mezzo-due anni. “In compenso” spiega Giovanni Mongini, della Tmc pubblicità, “spesso le spese per i lavori sono coperte dai ricavi della pubblicità e c’è anzi da guadagnare in più. Anzi, capita che offriamo chiavi in mano pacchetti che prevedono i lavori edili in cambio dell’ospitalità dei tabelloni”. Ma quanto si guadagna? "A Milano e Roma", chiarisce Mongini, “i canoni medi sono sui 5 mila euro annui per ciascun poster di 6 metri per 3. Per esempio se sull’impalcatura ce ne stanno sei, l’incasso è di 30 mila euro annui. Viceversa in città minori (Como e Varese, tanto per fare un esempio), gli incassi scendono del 60%. Le entrate sono influenzate dai costi e dalle scelte comunali: per esempio a Firenze le tasse sulla pubblicità sono elevatissime e a Venezia è consentita l’installazione solo nelle zone periferiche”. Le insegne luminose sui tetti sono quotabili invece a Milano sui 10 mila euro annuali.,
I contratti per le installazioni fisse (frontespizi ciechi e tetti) sono quinquennali, e annuali invece per quelli sulle impalcature, con possibilità di rinnovo e adeguamento al costo della vita dopo il secondo anno o per tutta la durata del cantiere .
I regolamenti comunali dettano spesso limiti alla loro collocazione nelle zone di pregio artistico e architettonico e il codice della strada rispetto alla collocazione nelle intersezioni semaforiche (in questo caso per evitare che gli automobilisti si distraggano). In molti municipi è comune la lotta tra cittadini e autorità: i primi tendono a prolungare le ristrutturazioni (per guadagnare di più) i secondi a limitarle nel tempo (nonostante che incassino da apposite tasse cifre spesso non indifferenti).
Un mercato più ricco, ma di una ristretta nicchia, e quello dei teli pittorici. Spiega Lucio Bergamaschi, amministratore delegato della Big Size: “Milano e Roma, da sole, si accaparrano quasi tutte le offerte e sono le uniche metropoli che hanno richiesta fuori dai centri storici in zone commercialmente pregiate (per Milano, ad esempio, Buenos Aires, Vercelli e corso Como, i Navigli, Brera ). In tono minore è Torino, mentre per le altre città papabili (Napoli, Genova, Bologna e Firenze) i teli pittorici sono eccezioni piuttosto rare, e capitano altrove solo in occasione di lanci o di rilanci di grosse aziende locali. La diffusione è in flessione rispetto ad anni fa e i contratti degli spazi sono talora stipulati con pagamento condizionato alla collocazione sul mercato della pubblicità, al 50% del ricavato al netto delle spese. I muri ciechi non sfruttati sono rari e in genere si utilizzano le impalcature degli immobili in via di ristrutturazione”. I canoni variano moltissimo, da un minimo di 5 mila a un massimo di 40 mila euro al mese a Roma e a Milano, e scendono del 30% nelle altre città. I contratti sono di tre-quattro mesi almeno (la durata delle ristrutturazioni), rinnovabili per altri tre.
Scelte in condominio. Se l’installazione avviene su un muro cieco e inutilizzato, è difficile sostenere che porti a gravi disagi: è da ritenere che basti la maggioranza per le delibera condominiali che regolamentano l’uso delle parti comuni (quella dei partecipanti all’assemblea e dei millesimi). Se invece accade su impalcature, è necessaria almeno quella delle innovazioni (maggior parte dei condomini e due terzi dei millesimi). Più prudente comunque avere l’unanimità, che talora non difficile da conseguire: infatti le impalcature si devono mettere comunque per ristrutturare l’immobile e tanto vale sfruttarle al meglio. Le maggiori polemiche provengono da chi è in locazione che subisce solo i disagi, senza godere del il canone (salvo accordi interni che permettano anche all’inquilino di beneficiarne).
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3 - Antenne cellulari | L’accesa concorrenza tra le compagnie, il raffinarsi delle tecnologie, le polemiche sull’inquinamento elettromagnetico vero o presunto che sia, rendono l’installazione delle antenne cellulari un’interessante opportunità di guadagno ma anche un’occasione di scontri e polemiche che talora possono coinvolgere tutto un quartiere.
Il punto del contendere sta essenzialmente nel fatto che il palazzo “beneficato” dall’installazione dell’antenna è anche più protetto, rispetto a quelli circostanti, dalle onde elettromagnetiche: quindi chi non incassa il canone subirebbe maggiori pericoli di chi non lo incassa. Questa certezza è anche un punto di forza per le Compagnie, che possono meglio contrattare la’accettazione del condominio e, talora, patteggiare al ribasso sui canoni, facendo leva sulla minaccia di installare l’antenna in un palazzo vicino.
Questo è anche il motivo per cui è difficilissimo stimare i canoni medi, che dipendono, è vero, dalla dislocazione dell’immobile, del volume di traffico e della presenza di smagliature nella rete delle trasmissioni, ma anche dalla capacità di trattativa delle due parti, condominio e azienda gestrice dell’antenna, cosicchè in situazioni simili si possono riscontrare cifre assai diverse. Ulteriore conseguenza è che le aziende si rifiutano strenuamente di offrire ammontari degli affitti: quindi un indagine sui prezzi deve svolgersi più pescando dalla cronaca o dalle cause accese in tribunale che da fonti ufficiali.
Per esempio, dalle affermazioni di Maurizio Gasparri, che è stato ministro delle Comunicazioni, che ha parlato di un ricavo medio di 15 mila euro annui. Oppure da un’indagine condotta dalla Guardia di finanza ad Udine, che ha accertato la mancata denuncia dei canoni di 73 soggetti, tra privati e società, stimando una media di 7.253 euro annui evasi per ciascuno (più o meno la cifra chiesta dal comune di San Marino per l’installazione su immobili pubblici). Ma se si esplorano le cause in tribunale, i blog su internet e le delibere comunali, c’è da farsi venire il mal di testa: si passa da un minimo di 600 euro annui fino ai 25 mila previsti in certi regolamenti comunali, con una media oscillante tra i 10 mila e i 18 mila euro.
Ingombro. Gli impianti si compongono da pali di sostegno su cui sono installate da 3 a 6 antenne, che hanno la forma di pannelli verticali alti circa 1,5 metri, larghi 20-30 cm e profondi 5-10 cm. Quanto allo shelter (il contenitore-centralina dei moduli di gestione delle antenne), secondo la Wind lo spazio occupato è in media dai 12mq ai 15mq anche se è possibile ridurre tale ingombro, per installazioni particolari, a soli 10mq. Le ditte assicurano il rispetto di tutti i parametri di legge a tutela della salute e il mancato disturbo arrecato a televisioni, radio ed apparecchi elettrici.
Decisione in condominio. Le maggioranze necessarie perché un condominio possa decidere di ospitare le antenne dei cellulari sono ancora dubbie. La relativa delibera va considerata almeno come un’innovazione, decisa dalla maggioranza dei condomini con 2/3 dei millesimi. E’ però capitato più volte che i tribunali abbiano optato per l’unanimità dei consensi, facendo leva sul fatto che la pericolosità di questi impianti non è mai stata confutata in modo definitivo. La minoranza non potrebbe comunque lamentare l'improbabile pericolosità per la statica dell'edificio: talora è difficile anche parlare di "lesione al decoro architettonico”, dato le dimensioni contenute di molti impianti.
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4 - Sopraelevazione del palazzo | E’ una situazione che si distingue dalle altre perché ad essere valorizzata non è una parte comune, ma una appartenente a uno solo dei condomini.
Secondo l’articolo 1127 del codice civile, è possibile infatti al proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare (il terrazzo piano che sovrasta il palazzo) elevarne altri. Vanno rispettate le condizioni statiche dell'edificio, il decoro architettonico, i regolamenti condominiali, nonché gli standards urbanistici ed edilizi. Chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un'indennità pari al valore attuale dell'area. diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l'importo della quota a lui spettante. Egli è inoltre tenuto a ricostruire il lastrico solare di cui tutti o parte dei condomini avevano il diritto di usare.
Si tratta di un’ipotesi tutto sommato rara, se non altro perché i comuni non concedono facilmente l’aggiunta di nuove volumetrie.
Un caso molto più comune, però, c’è. Accade quando le leggi regionali (per esempio quelle della Lombardia e Liguria) consentono di innalzare la falda del tetto esistente nonché le pendenze delle falde per raggiungere le altezze minime per il recupero di un sottotetto, che viene inglobato nell’appartamento sottostante. Allora, anche se il sottotetto non appartiene a tutti i proprietari del palazzo ma a un singolo condomino, egli dovrà versare agli altri l'indennizzo previsto per la sopraelevazione.
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5 - Portinerie e spazi inutilizzati | Lo spazio a portineria può essere già liberato o si può decidere di farlo, anche per risparmiare sulle spese. In quest’ultima situazione occorre distinguere. Se la portineria non è prevista dal regolamento, ed è sostituita da un citofono, non occorrono maggioranze particolari. Pertanto, l’assemblea può decidere in merito con la maggioranza semplice prevista dall’articolo 1136 del codice civile: in seconda convocazione un terzo dei condomini e un terzo dei millesimi. Se invece il servizio è previsto dal regolamento, la giurisprudenza (tra l'altro, Cassazione 5/10/01, n. 12290, 29/3/95 n. 3708) ha ritenuto sufficiente, in prima e seconda convocazione, la maggioranza stabilita dall'articolo 1136, secondo comma, (gli intervenuti che rappresentino almeno metà del valore dell'edificio). Si tratterebbe infatti di una modifica di norme regolamentari per il miglior uso delle cose comuni (anche qualora fossero contenute in un regolamento contrattuale).
La vendita degli spazi dell’ex portineria è un affare complesso: occorre infatti, sempre e comunque, il consenso unanime di tutti i condomini (rinuncia a una cosa comune). Molto più semplice la locazione. Se è di durata inferiore a nove anni, bastano secondo i più, le stesse maggioranze previste per la soppressione del servizio, purchè con una delibera apposita.
Quel che vale per le portinerie è applicabile alla vendita e all’affitto di qualsiasi altro spazio condominiale inutilizzato: ovviamente lo stesso non può dirsi per quelli che hanno una reale funzione a servizio del condominio, quando anche solo la locazione impedisca l’uso, anche ad un solo condomino: ij tal caso resta necessaria l’unanimità dei voti, in assemblea oppure anche in seguito, con un apposito contratto.
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6 - Parcheggi in cortile o in cantina | Di per sè la costruzione al piano terra o nei sotterranei di parcheggi è avvantaggiata dalla cosiddetta “legge Tognoli” (art. 9 legge 122/89), che consente decisioni prese con la maggioranza degli intervenuti e con perlomeno 500 millesimi. Sono anche previste facilitazioni urbanistiche (il mancato pagamento al Comune del contributo di costruzione). Tuttavia ad ogni unità immobiliare del condominio deve essere legato almeno un posto auto, non importa se di proprietà singola o comune. Perciò le possibilità di guadagno dalla vendita o dall’affitto per il condominio dipendono dalla disponibilità di ampi spazi e quindi dalla realizzazione di un numero di posti auto, superiore a quello degli appartamenti dell’edificio. Viceversa l’affitto del box singolo, da parte del suo proprietario, non sarebbe limitato secondo le interpretazioni più recenti. Per l’alienazione dei posti auto in più occorre delibera presa, all’unanimità. Per la loro locazione sotto i nove anni, basta quella regolamentare.
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7 - Altri casi | Vi sono molte altre piccole occasioni per cavar fuori piccole somme dallo sfruttamento degli spazi di tutti. Le elenchiamo, più per completezza che per i guadagni, spesso abbastanza risicati, che ne è possibile trarre.
- servitù di passaggio di cavi, tubature, scarichi. Quando la pubblica amministrazione deve far passare le utenze su spazi condominiali, ne ha il diritto, ma è costretta a versare un’indennità, che può essere contrattabile con motivate ragioni.
- messa in comune di un muro. Se viene edificato un immobile aderente al nostro condominio e se uno dei muri finisce per servire entrambi gli edifici, è possibile chiedere che divenga comune e pretendere il pagamento di metà del suo valore. Stesso discorso per i muri di recinzione.
- servitù negoziali di passaggio. Può capitare che sia utile a un laboratorio o a un officina del palazzo accanto avere un accesso dal nostro condominio: la servitù può essere contrattata e, naturalmente, pagata.
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8 - Come si tassano i redditi | Le somme percepite dal condominio a titolo di canoni di locazione o concessione vanno ripartite dall'amministratore condominiale per quota ai singoli condomini. Spetta poi a singoli condomini indicarle nella propria dichiarazione dei redditi.
I canoni di locazione delle parti comuni (per esempio l'ex portineria) vanno riportati tra i redditi di fabbricato, secondo le usuali procedure (deduzione del 15% a titolo di spese e confronto con la rendita catastale). Quelli percepiti per la ospitare le antenne o i cartelloni vanno invece riportati nei cosiddetti "redditi diversi". Lo ha chiarito, per quel che riguarda le antenne, l'Agenzia delle Entrate in un articolo pubblicato sulla rivista telematica Fiscooggi, spiegando che, in questo caso, non si tratta di un contratto di locazione (che presuppone, dietro il pagamento di una somma, il godimento di un bene immobile), ma di un “obbligazione di permettere” che i proprietari dell’immobile si assumono nei confronti della società di telecomunicazioni, alle quali viene consentito l’accesso ai locali per l’installazione di antenne, ripetitori e stazioni radio, nonché di compiere i lavori di adattamento necessari, oltre alla manutenzione e alla gestione degli impianti.
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