FATTO
Con ricorso
notificato il 9 dicembre 2002, la P.C. S.p.A. impugnava, innanzi
al Tribunale amministrativo regionale del Veneto, il verbale
della riunione dell’11 ottobre 2002, con il quale la
Commissione della gara indetta dall’Università Cà Foscari di
Venezia, per l’affidamento a licitazione privata dei lavori di
restauro dell’ex Convento di San Sebastiano, aveva provveduto
a modificare il ribasso percentuale offerto dalla ricorrente, in
quanto discordante dal corrispondente prezzo complessivo, e
aveva aggiudicato l’appalto alla costituenda ATI formata dalla
D. s.r.l. e dalle Imprese A.R. s.r.l. e C.E.V. s.r.l.
Il giudice adito,
con sentenza semplificata resa nella camera di consiglio fissata
per l’esame dell’istanza cautelare, dopo aver respinto il
ricorso incidentale della D. (sul rilievo che sussisteva la
prova che, in sede di ricalcolo delle percentuali di ribasso, la
ricorrente sarebbe risultata aggiudicataria), ha accolto il
ricorso principale, in quanto l’operato della commissione di
gara aveva violato l’art. 90 del d.P.R. n. 554/1999, che, al
comma 2, prevede che, in caso di discordanza tra prezzo
complessivo e ribasso percentuale, prevale il ribasso
percentuale indicato in lettere, e al comma 7, che, in caso di
discordanza fra il prezzo complessivo (eventualmente emendato
degli errori di calcolo nella somma o prodotto dei prezzi
unitari) e quello dipendente dal ribasso percentuale offerto,
tutti i prezzi unitari sono corretti in modo costante in base
alla percentuale di discordanza.
Avverso detta
decisione hanno proposto appello sia l’Università Cà Foscari
sia la D. (quest’ultima sia in via autonoma sia attraverso
costituzione e appello incidentale nel gravame dell’Università),
sostenendo l’inapplicabilità della norma regolamentare alla
fattispecie, in quanto concernente la diversa ipotesi di
discordanza fra l’indicazione in lettere e in cifre, laddove,
nel caso concreto, dovrebbe osservarsi, in apice, il principio
generale dell’attendibilità stessa dell’offerta, inficiata
da un errore meramente materiale nell’indicazione del ribasso
percentuale.
In ogni caso, il
procedimento delineato dal citato art. 90 opererebbe in sede di
verifica successiva all’aggiudicazione, per eliminare
eventuali (piccole) discrasie tra i prezzi e il ribasso
percentuale, mentre, ai fini della valutazione dell’entità
delle offerte, non potrebbe che farsi ricorso ai prezzi unitari
indicati dal concorrente, con la conseguenza che la discordanza
del prezzo complessivo derivante da tali prezzi e il ribasso
percentuale andrebbe risolta, come ha fatto la Commissione, in
favore del primo, che sarebbe espressione sicura della volontà
della parte, che proprio tale elemento ha tenuto in
considerazione in sede di offerta.
In via
subordinata, peraltro, la D. ripropone la doglianza già
sollevata in primo grado con ricorso incidentale (erroneamente
disattesa dal T.A.R., in quanto malamente interpretata), circa
l’inammissibilità dell’offerta della ricorrente, che, in
presenza di una sì rilevante discordanza tra il prezzo offerto
e il corrispondente ribasso percentuale, non avrebbe potuto
essere considerata corretta, in quanto redatta con un meccanismo
diverso da quello previsto dal citato art. 90, e avrebbe dovuto,
quindi, essere esclusa.
Si è costituita
la Soc. P.C., che ha chiesto il rigetto dell’appello.
Con ordinanza del
25 marzo 2003 questa Sezione ha respinto la richiesta di
sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.
Con successiva
memoria, la D. ha ribadito le proprie tesi, anche alla luce
dell’art. 5 della legge 2 febbraio 1973 n. 14, i cui principi
ispiratori dovrebbero intendersi tuttora vigenti.
Anche
l’appellata ha prodotto memoria per confutare le
argomentazioni della controparte.
Infine,
all’udienza di discussione del 10 giugno 2003, la D. ha
depositato nota per chiedere la disapplicazione, in parte qua,
dell’art. 90 del d.P.R. n. 554/1999, per evidente contrasto di
tale disposizione, ove interpretata come ostativa
all’accoglimento dell’appello, con la norma di rango
superiore di cui all’art. 21 della legge 11 febbraio 1994, n.
109.
A tale richiesta
si è opposta la convenuta, sia per essere stata la stessa
introdotta per la prima volta in appello sia per assenza del
dedotto contrasto tra la norma regolamentare e quella primaria.
DIRITTO
1. L’impugnata
sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Veneto (resa
in forma abbreviata ai sensi dell’art. 26 della legge 6
dicembre 1971, n. 1034, come modificato dall’art. 9 della
legge n. 205/2000) ha annullato, su ricorso della P.C., il
verbale della riunione dell’11 ottobre 2002, con il quale la
Commissione della gara indetta dall’Università Cà Foscari di
Venezia, per l’affidamento a licitazione privata dei lavori di
restauro dell’ex Convento di San Sebastiano, dopo aver
modificato d’ufficio (riducendolo da 10,19% a 7,511%) il
ribasso percentuale offerto dalla menzionata Società, in quanto
non concordante con il prezzo complessivo, aveva aggiudicato
l’appalto alla costituenda ATI formata dalla D. s.r.l. e dalle
A.R. s.r.l. e C.E.V. s.r.l..
1.1. Ha
affermato, al riguardo, il primo giudice che l’operato della
commissione di gara aveva violato l’art. 90 del d.P.R. n.
554/1999, che, al comma 2, prevede che, in caso di discordanza
tra prezzo complessivo e ribasso percentuale, prevale il ribasso
percentuale indicato in lettere, e al comma 7, che, in caso di
discordanza fra il prezzo complessivo (eventualmente emendato
degli errori di calcolo nella somma o prodotto dei prezzi
unitari) e quello dipendente dal ribasso percentuale offerto,
tutti i prezzi unitari sono corretti in modo costante in base
alla percentuale di discordanza.
2. Con gli
appelli in epigrafe – che vanno necessariamente riuniti ai
sensi dell’art. 335 c.p.c. – sia l’Università appaltante
sia la D. criticano le conclusioni del T.A.R., muovendo dalla
premessa che, nel sistema di offerta per prezzi unitari,
osservato nella fattispecie, l’elemento cardine sarebbe
proprio l’indicazione di questi ultimi e, quindi, quella del
prezzo complessivo, rispetto al quale la determinazione della
percentuale di ribasso sarebbe operazione meramente aritmetica,
con la conseguenza che, in caso di discordanza, dovrebbe darsi
prevalenza, come operato dalla Commissione di gara, al prezzo
complessivo.
Né a ciò si
opporrebbe l’art. 90 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554,
posto che il comma secondo, richiamato dalla decisione
impugnata, si limiterebbe a stabilire il criterio di prevalenza
in caso di discordanza tra l’indicazione in cifre ed in
lettere del ribasso percentuale, mentre, a sua volta, il 7°
comma (laddove prevede che, in caso di discordanza tra il prezzo
complessivo e quello dipendente dal ribasso percentuale offerto,
devono essere corretti tutti i prezzi unitari in rapporto alla
percentuale di discordanza) si riferirebbe solo
all’eliminazione di piccole incongruenze, nella successiva
fase di verifica, da effettuarsi dopo l’aggiudicazione.
Nella
fattispecie, invece, la discordanza emersa in sede di gara
atterrebbe alla regolarità dell’offerta, onde la stessa o
sarebbe suscettibile di essere emendata a priori, nel senso di
attribuirle, attraverso la correzione dell’errore, il
contenuto effettivamente voluto dalla parte, o darebbe luogo,
altrimenti, all’inevitabile esclusione dell’offerta stessa,
in quanto irregolare.
3. Le tesi degli
appellanti non meritano condivisione, in quanto, pur
astrattamente dotate di una loro intrinseca logicità, appaiono
del tutto avulse dal sistema delineato dall’art. 90 del d.P.R.
n. 554/1999.
4. Quest’ultima
norma – che opera in materia delegificata dall’art. 3, comma
1, lett. b della legge 11 febbraio 1994, n. 109 - prevede un
sistema concluso, volto a risolvere, nell’ottica della
certezza e della trasparenza delle operazioni di affidamento
degli appalti, ogni incertezza che possa insorgere in
un’offerta articolata quale quella per prezzi unitari, in modo
da prevenire contestazioni circa l’effettiva volontà della
parte privata, in caso di discordanze fra le diverse componenti
dell’offerta stessa.
4.1. In sede
regolamentare, il legislatore (che pure avrebbe potuto
sanzionare di nullità tutte le offerte contenenti dati non
congruenti fra loro), ha preferito privilegiare, per quanto
possibile, la conservazione delle offerte medesime, risolvendo
le ipotesi di ambiguità della manifestazione di volontà non
attraverso una (sempre controvertibile) ricostruzione
dell’effettiva volontà dell’offerente, ma attribuendo alla
dichiarazione equivoca un contenuto legalmente sostitutivo,
maggiormente idoneo, per il suo carattere predeterminato e
obiettivo, a garantire la trasparenza della procedura e la
connessa par condicio dei concorrenti.
4.2. A tal fine
è preordinato, innanzi tutto, il secondo comma dell’art. 90,
il cui dato testuale è tassativo nello stabilire (dopo aver
indicato le regole per la compilazione dell’offerta) che:
a) in calce al
modulo vanno indicati il prezzo complessivo offerto ed il
corrispondente ribasso percentuale rispetto al prezzo posto a
base d’asta;
b) il prezzo complessivo e il ribasso vanno indicati in cifre
e in lettere;
c) in caso di discordanza (quale che sia la causa e l’entità
di tale discordanza) "prevale il ribasso percentuale
indicato in lettere".
4.3. A fronte di
tale chiara indicazione, è evidentemente insostenibile la tesi
degli appellanti, che vorrebbero limitare l’oggetto della
previsione normativa alle sole ipotesi di discordanza fra
l’indicazione in cifre e quella in lettere, nell’ambito di
ciascuna voce (prezzo e ribasso).
E’ sufficiente,
infatti, osservare che l’espressione "in caso di
discordanza prevale il ribasso percentuale indicato in lettere",
collocata immediatamente dopo quella "il prezzo
complessivo ed il ribasso sono indicati in cifre ed in lettere",
ove volesse riferirsi alla sola non congruenza interna a
ciascuna voce, sarebbe formulata del tutto illogicamente, giacché,
per esprimere tale significato, avrebbe dovuto dire soltanto
"prevale l’indicazione in lettere" ovvero
(ove si fosse voluta conservare l’analiticità) "prevalgono
rispettivamente il prezzo complessivo o il ribasso percentuale
indicato in lettere".
4.4. La semplice
lettura della norma, condotta secondo il suo significato
letterale e le sue concordanze sintattiche, conduce, invece,
alla piana conclusione che con essa si è posto un criterio di
chiusura, volto a dare prevalenza, in tutti i casi di
discordanza fra i dati indicati in calce al modulo di offerta
(riferiti sia al prezzo sia alla percentuale di ribasso), al
ribasso percentuale indicato in lettere, sì da precludere alla
Commissione di gara ogni intervento correttivo sull’offerta,
ai fini dell’aggiudicazione.
4.5. E che un
intervento siffatto sia precluso in radice, in questa fase del
procedimento, è dimostrato dalla previsione del sesto comma
dell’art. 90, il quale recita coerentemente: "Nel
giorno e nell'ora stabiliti nel bando di gara, l'autorità che
presiede la gara apre i plichi ricevuti e contrassegna ed
autentica le offerte in ciascun foglio e le eventuali correzioni
apportate nel modo indicato nel comma 5; legge ad alta voce il
prezzo complessivo offerto da ciascun concorrente ed il
conseguente ribasso percentuale e procede all'aggiudicazione in
base al ribasso percentuale indicato in lettere ai sensi di
quanto previsto all'articolo 89, commi 2 e 4".
Il che conferma
che tra i poteri della Commissione non rientra la correzione
delle offerte, ma solo la valutazione di congruità di quelle
risultate anomale, in applicazione delle disposizioni di legge,
restando fermo l’obbligo di aggiudicazione a quella che,
superata la verifica condotta in base alle giustificazioni,
abbia offerto il maggior ribasso percentuale indicato in
lettere.
4.6. E del resto,
ove si riconoscesse un potere di correzione alla Commissione dei
dati indicati dai partecipanti, per ricondurre a congruenza gli
stessi, secondo la valutazione soggettiva dell’organo, non si
avrebbe alcuna precostituita certezza né circa i contenuti
delle offerte né circa la soglia di anomalia da individuare.
4.7. Ed è già
sufficiente tale rilievo per rendere illegittima la condotta
dell’Autorità preposta alla gara e condurre
all’annullamento degli atti da essa adottati, in conformità
alle conclusioni raggiunte dal primo giudice.
5. Ma v’è di
più.
5.1. Poiché i
criteri dettati dal secondo comma dell’art. 90 del d.P.R. n.
554/1999 sono preordinati esclusivamente a risolvere le ambiguità
ai fini dell’individuazione dell’offerta aggiudicataria, ma
non eliminano dette ambiguità dal corpo dell’offerta stessa,
il settimo comma dello stesso art. 90 si occupa della
"chiusura" del sistema, attraverso la rimozione delle
incongruenze, in modo da definire esattamente i contenuti
dell’offerta, ai fini dell’esecuzione del contratto.
5.2. Tale
operazione – che è affidata alla stazione appaltante e si
svolge in un momento successivo all’aggiudicazione definitiva
e prima della stipulazione del contratto - è disciplinata
anch’essa analiticamente con criteri coerenti con quelli
indicati al secondo comma.
5.3. In
particolare, dopo aver proceduto alla verifica dell’esattezza
dei calcoli dei prezzi unitari, l’Amministrazione, ove
riscontri una discordanza fra il prezzo complessivo
(eventualmente corretto) e quello corrispondente al ribasso
percentuale offerto, deve provvedere a correggere tutti i prezzi
unitari "in modo costante in base alla percentuale di
discordanza".
Infine, i prezzi
così corretti costituiscono "l’elenco dei prezzi
unitari contrattuali", da valere in sede di esecuzione
dell’appalto.
6. Certo, a tali
criteri di risoluzione delle discordanze se ne potrebbero
opporre anche altri, ritenuti, secondo l’assunto degli
appellanti, più congrui o razionali.
Ma, così
argomentando si finisce con il sostituire valutazioni soggettive
alle scelte regolamentari, che, proprio attraverso l’espressa
abrogazione della precedente disciplina recata dall’art. 5
della legge 2 febbraio 1973, n. 14, hanno mostrato di
privilegiare, invece, il perseguimento della finalità di dare
certezza alla procedura di aggiudicazione, sottraendola, per
quanto possibile, da un lato, alla discrezionalità della
stazione appaltante nella individuazione della volontà
dell’offerente, dall’altro alle contestazioni di quest’ultimo
(e degli altri partecipanti alla gara) circa l’effettivo
contenuto delle offerte.
7. Stabilita,
dunque, l’illegittimità dell’intervento correttivo della
Commissione di gara sull’offerta della P.C., va, a questo
punto, esaminata la censura (già proposta inutilmente in primo
grado dalla D., attraverso ricorso incidentale e, ora, reiterata
in appello), secondo la quale, la discordanza rilevata
dall’Organo di aggiudicazione tra il prezzo complessivo e il
corrispondente ribasso percentuale avrebbe dovuto comportare, in
apice, l’inammissibilità dell’offerta stessa e,
conseguentemente, la sua esclusione.
7.1. Anche tale
doglianza si rivela, però, infondata.
7.2. Le cause di
esclusione delle offerte devono essere previste nel bando e
riguardano, in via di principio, o la mancanza dei requisiti
prescritti o l’inosservanza di formalità tassativamente
stabilite o la carenza di elementi essenziali dell’offerta
stessa o l’anomalia dell’offerta non adeguatamente
giustificata.
Ora, nella
specie, nell’offerta della P.C. non si riscontrava alcuno
degli elementi ostativi dianzi descritti, bensì solo la
discordanza tra il prezzo complessivo e il corrispondente
ribasso percentuale.
Sennonché,
proprio con riguardo a tale ipotesi, ha provveduto, come si è
detto, il regolamento, il quale, senza distinguere circa
l’entità e la natura delle discordanze, ha configurato un
meccanismo idoneo a rendere, comunque, utilizzabili le offerte;
meccanismo che, evidentemente, quale che sia il giudizio
soggettivo degli appellanti, non lascia spazio al potere della
Commissione di disporre, in limine, l’esclusione
dell’offerta che presenti una di siffatte discordanze.
7.3. Va detto,
comunque, per completezza, che, anche alla stregua dei principi
civilistici, la discordanza in parola si traduce in un errore
nella manifestazione di volontà, che, a tutto voler concedere,
è invocabile, al fine della richiesta di annullamento del
contratto, solo dalla parte che vi abbia dato causa, onde, anche
sotto questo profilo, in assenza di disposizioni della lex
specialis della gara ed in armonia con le disposizioni
regolamentari già esaminate, non si configura un vizio che
legittimi la controparte, di sua iniziativa, all’annullamento
dell’offerta.
8. Le
considerazioni che precedono recano in sé anche le ragioni per
le quali appare del tutto inaccoglibile l’istanza, avanzata
solo all’udienza di discussione, di disapplicazione
dell’art. 90 del d.P.R. n. 554/1999, per contrasto con la
norma di rango superiore di cui all’art. 21 della legge 11
febbraio 1994, n. 109.
Ed invero, in
disparte il rilievo che tale istanza si concreta in un addebito
di illegittimità a carico di una disposizione mai censurata né
in primo grado, in sede di ricorso incidentale, né in sede di
appello contro la sentenza che l’aveva posta espressamente a
fondamento dell’accoglimento del ricorso ed anche a
prescindere dalla problematica circa l’istituto della
disapplicazione, ad opera del giudice amministrativo, nei
confronti di una fonte regolamentare indipendente, in quanto
operante in materia delegificata, sta di fatto che non si
ravvisa alcun contrasto con l’art. 21 della legge n. 109, il
quale non si occupa affatto della specifica materia, che è,
infatti, integralmente demandata, dall’art. 3 della stessa
legge, alla potestà regolamentare del Governo.
8.1. Ne consegue
che difettano, nella fattispecie, gli stessi presupposti
giuridici della disapplicazione, posto che quest’ultima, anche
nei casi in cui sia riconosciuto, in capo al giudice
amministrativo il relativo potere, postula, comunque
l’esistenza e l’immediata applicabilità, al caso concreto,
di una norma primaria, cui sia di ostacolo una, difforme, di
livello secondario, da rimuovere, appunto, mediante
disapplicazione.
Viceversa, nella
fattispecie, la disapplicazione richiesta lascerebbe senza
alcuna disciplina l’ipotesi concreta (non essendo questa
rinvenibile nell’art. 21 invocato dall’appellante), onde la
stessa si risolverebbe in definitiva nel chiedere, in via
giurisdizionale, un intervento volto a ignorare una norma
dell’ordinamento vigente per creare una regolamentazione
diversa asseritamente più aderente all’intenzione del
legislatore primario; il che non può rientrare evidentemente
tra le attribuzioni del giudice amministrativo, ma tutt’al più,
potrebbe essere oggetto, de jure condendo, di intervento
del potere regolamentare, volto ad assumere un indirizzo diverso
da quello attualmente seguito.
9. Per tutte le
considerazioni esposte gli appelli devono essere respinti.
La natura della
questione trattata rende equa la compensazione delle spese del
grado di giudizio tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente
pronunciando sui ricorsi riuniti in epigrafe, li respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 10 giugno
2003 con l'intervento dei Signori:
Salvatore
GIACCHETTI, Presidente
Carmine VOLPE, Consigliere
Giuseppe MINICONE, Consigliere Est.
Lanfranco BALUCANI, Consigliere
Guido SALEMI, Consigliere