REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la
seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto
da E.S.A. s.r.l., in persona del legale rappresentante E.S.,
rappresentato e difeso dagli avvocati L.A. ed A.B. ed
elettivamente domiciliato in ...
contro
l’Università degli Studi di
Salerno, in persona del Rettore pro-tempore,
rappresentata e difesa dal prof. avv. A.P. e domiciliata ex lege
in Roma, Via Cesi n.21 presso lo studio dell’Avv. V.G.;
per
l'annullamento
della sentenza del Tribunale
Amministrativo Regionale della Campania – Salerno, Sezione I -
n.632 del 2002;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle
rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla camera di consiglio del 13
maggio 2003 relatore il Consigliere Giancarlo Montedoro.
Uditi, altresì, l’Avv. D.L. per delega dell’Avv. A. e
l’Avv. P.;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con la delibera del 21/6/2001 il
Consiglio di Amministrazione dell’Università degli Studi di
Salerno ha approvato il progetto dei lavori di adeguamento alla
normativa vigente delle aule delle stecche 1 e 3 – sede
universitaria di Fisciano – autorizzando, nel contempo,
l’espletamento di apposita gara.Il bando di gara,
dell’importo di euro 914.128,27 prevedeva, tra l’altro, che
i partecipanti dovessero essere in possesso delle abilitazioni
di cui alla legge n. 46 del 1990 alle lettere a), c), f), g).
Alla gara hanno partecipato n.48 concorrenti.
Al termine della procedura
concorsuale è risultata aggiudicataria la società appellante
con il ribasso del 27,121% sull’elenco prezzi posto a base di
gara, in favore della quale la Commissione ha proceduto a
dichiarare l’aggiudicazione provvisoria, con il verbale di
gara n. 2 del 13/2/2002.
Inopinatamente, il Rettore
dell’Università di Salerno, col decreto n. 623 del 19/2/2002,
ha revocato (per l’appellante annullato) gli atti di gara e
l’aggiudicazione provvisoria formulata a favore della società
appellante, sull’assunto erroneo che sette concorrenti erano
stati illegittimamente esclusi per avere dichiarato di voler
subappaltare le abilitazioni di cui alla legge n. 46/1990 lett.
a), c), f), g); ciò in quanto il bando di gara richiedeva il
possesso delle suddette abilitazioni in capo ai partecipanti,
quale requisito necessario per partecipare alla gara, mentre gli
articoli 73, comma 2, e 74, comma 1, del d.p.r. n.544 del 1999
consentirebbero il subappalto delle lavorazioni specializzate.
Per tali ragioni il Rettore,
ritenendo che il bando di gara sarebbe in parte qua
illegittimo, avendo limitato la partecipazione dei concorrenti,
ha altresì stabilito, nel provvedimento di revoca, di indire
nuova gara, il cui bando richiami gli articoli 73 e 74 del
d.P.R. citati.
La società aggiudicataria ha,
dunque, impugnato il decreto rettorale viziato da violazione e
falsa applicazione degli articoli 73 e 74 del d.P.R. n.554 del
1999 e del d.p.c.m. 10/1/1991, n.55 e della legge n.46/1990, da
violazione dell’articolo.13, comma 7, della legge n.109/1994,
eccesso di potere per travisamento dei fatti, errore nei
presupposti, nonché illogicità e contraddittorietà, dato che
le abilitazioni richieste ex lege n.46/1990 in quanto
connesse alla categoria scorporabile specialistica OG11, non
potevano non essere in possesso dei partecipanti alla gara
d’appalto, giusta il comma 7 dell’art. 13 della legge n.
109/1994.
Si costituiva l’amministrazione
appaltante, per resistere al ricorso.
Il T.A.R. Campania ha rigettato
il ricorso con sentenza succintamente motivata.
L’appello è articolato in
quattro motivi:
1) Motivazione illogica
perplessa e contraddittoria, violazione falsa applicazione degli
artt.73 e 74 del d.p.r. n.544/1999, del d.p.c.m. 10 gennaio
1991, n. 55 e della legge n. 46/1990. Violazione dell’art.13,
comma 7, della legge n.109/1994. Eccesso di potere per erroneità
dei presupposti e di motivazione.
Il decreto rettorale impugnato
con il ricorso di primo grado fonda l’annullamento degli atti
di gara e dell’aggiudicazione provvisoria sull’assunto che
il bando di gara sarebbe illegittimo perché non prevederebbe il
subappalto delle abilitazioni di cui alla legge n. 46/1990 lett.
a), c), f), g) ad imprese in possesso delle relative
qualificazioni, in tal modo violando gli artt. 73, comma 2, e
74, comma 1, del d.P.R. n. 544/1999.
Il bando di gara tuttavia, secondo l’appellante, non ha
escluso il subappalto, né lo ha vietato, né la Commissione di
gara ha assunto il contrario, avendo la stessa escluso sette
concorrenti per non avere il possesso delle abilitazioni, che
volevano subappaltare in deroga ad un divieto di legge.
Il bando infatti prevede che i partecipanti alla gara debbano
essere in possesso dei requisiti ivi indicati, tra cui le
abilitazioni di cui alla legge n. 46/1990 lett. a), c,), f), g).
Né il contrario affermano gli artt. 73, comma 2, e 74, comma 1,
del d.P.R. n. 554/1999, norme poste a base del disposto
annullamento.
Si vuol dire che una cosa è il
possesso del requisito indispensabile per partecipare alla gara,
una cosa è la subappaltabilità dei lavori.
Le sette imprese di cui si parla nel decreto n. 623/2002 sono
state escluse dalla gara per difetto del possesso dei requisiti,
che volevano subappaltare, non perché volevano subappaltare i
relativi lavori.
Il decreto rettorale si fonda, quindi, su un’erronea
interpretazione delle norme in esso citate.
Conferma di ciò si trae dal
comma 2 dell’art. 74 del d.P.R. n.554/1999, il quale
stabilisce che la normativa in esso recata fa comunque salvo
quanto previsto dall’art. 13, comma 7, della legge (109/1994).
Tale norma stabilisce che nel caso di lavori scorporabili –
fattispecie ricorrente nel caso specifico, sia perché sono
impianti ed opere speciali quelle cui si riferiscono le
abilitazioni de quibus, sia perché espressamente il
bando prevede lavori scorporabili per lavori quasi pari a quelli
prevalenti – “esse non possono essere affidate in
subappalto”.
Quanto sopra non sarebbe – a tenor dell’appello – smentito
dalla sentenza impugnata.che afferma che ai sensi del combinato
disposto degli artt. 72 e 73 del d.P.R. n. 544/1999, contenente
il regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori
pubblici, il concorrente in possesso della qualificazione
relativa alla categoria prevalente, e cioè quella di importo più
elevato fra le categorie costituenti l’intervento (art. 73),
può eseguire direttamente tutte le lavorazioni di cui si
compone l’opera, anche se non in possesso delle relative
qualificazioni, oppure può subappaltare dette lavorazioni
esclusivamente ad imprese in possesso delle relative
qualificazioni (art. 74) tranne che non si tratti di opere
specializzate.
Lo stesso giudice di primo grado sostiene quindi che non si
possono eseguire opere specializzate da parte di chi non è in
possesso delle relative qualificazioni, il che è quanto
affermato dall’appellante nel ricorso di primo grado.
Il giudice di primo grado avrebbe così posto delle corrette
premesse ermeneutiche fraintendendo la fattispecie concreta.
Ma anche ove si volessero ritenere subappaltabili tali
lavorazioni la conclusione non cambierebbe perché altro è il
possesso dell’iscrizione agli albi per l’esecuzione delle
lavorazioni, altro è il requisito di cui all’art. 1 della
legge n. 46/1990. Questo è un requisito indispensabile per la
partecipazione alla gara, attenendo all’idoneità tecnica del
concorrente, e non essendo, quindi, per sua natura
subappaltabile.
Tale lettura del bando è chiarissima per cui non può
sostenersi che esso sia stato interpretato in modo restrittivo
dalla stessa Commissione di gara.
A ciò può aggiungersi che le stazioni appaltanti possono
richiedere requisiti ulteriori rispetto a quelli minimi
prescritti, sicché ove ciò avvenga, non può per ciò solo
disporsi poi l’annullamento della gara.
Né può assumersi la necessità di una maggiore partecipazione
alla gara, risultando ben 48 le imprese partecipanti, numero di
concorrenti difficilmente raggiungibile, e superabile rispetto
all’indizione di una nuova gara, in conseguenza della nuova
normativa sulla qualificazione delle imprese (S.O.A.) della cui
certificazione solo pochissime imprese sono in possesso.
A tal proposito si cita la più
recente giurisprudenza del Consiglio di Stato che, su un caso
analogo, ha ritenuto che il profilo della motivazione di un atto
di secondo grado, con il quale si affermava di voler tutelare
l’esigenza della più ampia concorrenza, si rilevava falsato
alla luce del numero di imprese a suo tempo ammesse in gara (C.d.S.,
VI, 14 gennaio 2000, n. 244).
Inoltre l’amministrazione non avrebbe valutato il rilevante
ribasso con il quale la società ricorrente si è aggiudicata la
gara.
In definitiva non è dato riscontrare l’indefettibile
presupposto dell’interesse pubblico che sempre deve essere
posto a base dei provvedimenti adottati in via di autotutela.
Tale profilo di illegittimità del provvedimento impugnato con
il ricorso di primo grado non è stato affatto valutato dal
giudice di prime cure, con evidente vizio di infrapetizione.
In definitiva l’art. 13, comma 7, della legge n.109/1994,
norma non smentita dagli artt.73 e 74 del d.P.R. n. 554 del 1999
che espressamente lo fanno salvo – stabilisce che, quando si
è in presenza, come nella specie, di lavori specialistici di
importo superiore al 15% del totale dei lavori a base d’asta,
queste lavorazioni devono “essere eseguite esclusivamente
dai soggetti affidatari. In tali casi i soggetti che non siano
in grado di realizzare le predette componenti sono tenuti a
costituire, ai sensi del presente articolo, associazioni
temporanee di tipo verticale, disciplinate dal regolamento che
definisce altresì l’elenco delle opere di cui al presente
comma”.
La sostanza dei lavori inerenti
specificamente la gara in esame è stata trascurata dal giudice
poiché, questi, riferendosi alla categoria scorporabile OG11,
la cui disciplina è dettata dall’art. 74, comma 2, del d.P.R.
n. 554/99 e non dal comma 1, in quanto le opere de quibus
erano opere speciali e di valore pari al 40,5% circa
dell’importo complessivo dei lavori.
Le abilitazioni ex lege n. 46/1990 dunque sono connesse
alla categoria OG11 che come è noto agli operatori del settore
dei lavori pubblici, assorbe le categorie specializzate OS3,
OS5, OS28, OS30, tutte previste nell’art. 72, comma 4, del
regolamento generale.
Inoltre, nel caso de quo, i suddetti impianti tecnologici
a cui le abilitazioni legge 46/1990 sono connesse, superano il
40% dell’importo totale dei lavori e sono pari quasi
all’importo dei lavori prevalenti.
Ne consegue l’obbligo di
qualificazione nella categoria e l’obbligo del possesso dei
requisiti richiesti, con divieto di subappalto, residuando le
possibilità, per le imprese prive del possesso dei requisiti,
di costituire un’A.T.I. verticale.
Ove così non fosse, e si dovessero ritenere subappaltabili le
suindicate lavorazioni specialistiche ammontanti lo si ripete,
ad oltre il 40% dell’importo complessivo dei lavori,
risulterebbe violato anche il comma 3 dell’art. 18 della legge
19 marzo 1990, n. 55, come sostituito dal comma 1 dell’art. 34
della legge n. 109/1994, secondo il quale la quota
subappaltabile non può essere superiore in ogni caso al 30%.
2) Violazione degli articoli 7
e 8 della legge n. 241/1990.
Il ricorrente era stato
dichiarato aggiudicatario provvisorio della gara in questione,
al predetto avrebbe dovuto essere comunicato l’avvio del
procedimento, culminato nell’adozione del provvedimento
impugnato.
3) Incompetenza.
La gara è stata bandita dal
Consiglio di amministrazione, sicché in base al principio del contrarius
actus l’annullamento avrebbe dovuto essere disposto dal
Consiglio di amministrazione.Il riferimento del giudice di primo
grado ad un atto di ratifica del provvedimento rettorale appare
inammissibile, non ravvisandosi tale delibera in atti.
4) Eccesso di potere per
contraddittorietà e sviamento.Il disposto annullamento si pone
contro precedenti specifici, relativi ad altri bandi che
richiedevano tali abilitazioni ai fini della partecipazione alla
gara.
In ultimo l’appello propone una
domanda di risarcimento, a prescindere dalla fondatezza del
ricorso, collegata ad un comportamento colpevole della stazione
appaltante.
Resiste all’appello
l’amministrazione.
DIRITTO
L’appello è infondato.
La questione riguarda il progetto
di lavori di adeguamento alla normativa vigente delle aule delle
stecche 1 e 3 della sede universitaria di Fisciano, lavori
approvati con delibera del 21 giugno 2001.
I lavori sono stati classificati
per lit. 965.294.883 (euro 498.533,21) per opere riconducibili
alla categoria OG1 prevalente e per lit. 718.150.011 (euro
370.893, 53) per opere scorporabili riconducibili alla categoria
OG11.
Il bando di gara richiedeva il
possesso delle abilitazioni della legge n. 46/1990, lett. a.),
c), f) e g) da parte dei partecipanti (al punto 6 dedicato ai
requisiti di partecipazione).
In merito al subappalto il bando
di gara non lo vietava, ma al punto 15 prevedeva “è
possibile il ricorso al subappalto ai sensi e con le modalità
di cui all’art.18 della legge n. 55/1990 e successive
modificazioni, ed al d.P.R. n. 544/1999”.
La società appellante – già aggiudicataria provvisoria della
gara, svoltasi con asta pubblica, al prezzo più basso,
determinato mediante offerta a ribasso sull’elenco prezzi
posto a base dell’appalto, ai sensi della legge n. 415/1998,
art. 21, comma 1, lett. a) impugna l’atto di revoca degli atti
di gara e dell’aggiudicazione provvisoria, adottato dal
Rettore il 19/2/2002, in considerazione dell’impostazione
erronea del bando e delle conseguenti modalità di svolgimento
della gara.
In materia di revoca dell’aggiudicazione, ancorché
intervenuta nel corso dell’esecuzione del contratto, e quindi
quando il rapporto è ormai giunto alla fase meramente
privatistica, sussiste la giurisdizione del giudice
amministrativo, trattandosi di atto di esercizio di poteri
pubblicistici di matrice provvedimentale (C. Stato, sez.V,
28/5/2001, n. 2895).
In via generale va anche
ricordato che in materia di contratti della p.a., il potere di
negare l’approvazione dell’aggiudicazione per ragioni di
pubblico interesse ben può trovare fondamento, in via generale,
in specifiche ragioni di pubblico interesse e non trova ostacoli
nell’esistenza dell’avvenuta aggiudicazione definitiva o
provvisoria; pertanto è illegittimo l’atto di revoca
dell’aggiudicazione di un appalto di lavori che non sia
motivato in base ad un pubblico interesse idoneo a giustificare
il sacrificio del contrapposto diritto dell’aggiudicatario nei
confronti dell’amministrazione (C. Stato, sez.V, 30/11/2000,
n. 6365).
In sostanza l’aggiudicazione di un appalto pubblico è
suscettibile di riesame nell’esercizio della potestà di
autotutela della p.a., fermo restando che alla revoca può
pervenirsi con atto successivo, adeguatamente motivato con
richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico (C. Stato,
sez.V, 20/9/2001, n. 4966).
L’atto impugnato ha rilevato che diciotto ditte sono state
escluse, e che di queste ben sette lo sono state in
considerazione della dichiarazione di voler subappaltare le
abilitazioni di cui alla legge n. 46/1990 lett. a), c),
f), g) previste al paragrafo 6 del bando di gara quale requisito
e connesse alla categoria scorporabile OG11 indicata al
paragrafo 5 del bando di gara.
Il rettore ha rilevato che gli
articoli 73, comma 2, e 74, comma 1, del d.P.R. n. 554/1999
consentirebbero al concorrente in possesso delle qualificazioni
relative alla categoria prevalente di eseguire direttamente
tutte le lavorazioni di cui si compone l’opera, non rientranti
nella categoria prevalente dell’appalto, anche se non in
possesso delle relative qualificazioni, oppure subappaltare
dette lavorazioni specializzate esclusivamente ad imprese in
possesso delle relative qualificazioni.
Con questo passaggio
argomentativo del provvedimento impugnato il rettore ha ritenuto
subappaltabili i lavori ricondotti alla categoria scorporabile e
quindi ha censurato l’operato della commissione che non ha
dato rilievo alle dichiarazioni dei partecipanti relative
all’intenzione di subappaltare i lavori che richiedevano tali
abilitazioni.
Con successivo passaggio
argomentativo il Rettore ha rilevato che il requisito previsto
al paragrafo 6 del bando di gara, relativo alle abilitazioni di
cui alla legge n. 46/1990 lett. a), b), c), f), g), inteso dalla
Commissione di gara (e dal bando che così le configurava )
quale requisito di qualificazione ai fini della partecipazione
al procedimento, è per legge, requisito necessario ai fini
dell’esecuzione delle opere in appalto, e che, pertanto, le
certificazioni previste dalla legge n.46/1990, vanno rilasciate
alla stazione appaltante dall’esecutore delle relative opere
anche in regime di subappalto.
Ciò premesso, ritenuto il bando mal impostato e generante
interpretazioni restrittive e limitative dell’esigenza di
un’ampia partecipazione alla gara, al fine di ripristinare la
legittimità della procedura e di garantire la più ampia
partecipazione alla gara, si procedeva alla impugnata revoca.
Il primo motivo di appello è volto a contestare l’assunta
subappaltabilità delle opere scorporabili in virtù di una
interpretazione non del bando (che tale divieto non prevede) ma
della normativa in tema di subappalto.
La tesi sostenuta dall’appellante è che le lavorazioni della
categoria OG11 essendo lavorazioni specializzate, non possano
essere subappaltate e quindi possano essere eseguite solo da chi
è in possesso delle relative specializzazioni.
Si invoca in sostanza la diretta applicazione dell’art.13,
comma 7, della legge n.109/1994 che vieta il ricorso al
subappalto delle opere ad alto contenuto tecnologico quali le
opere speciali.
Ritiene il Collegio che il primo
motivo del ricorso di appello sia infondato.
Esso attiene ad una questione
particolarmente controversa, quale quella della subappaltabilità
delle opere ricomprese nella categoria generale OG11.
Va tuttavia rilevato, al fine di consentire un compiuto
apprezzamento della fattispecie, che il provvedimento impugnato
è un provvedimento di revoca per inopportunità, non di
annullamento, si tratta di una decisione di non aggiudicare la
gara per preminenti profili di opportunità piuttosto che per
vizi di legittimità del bando originario, ed in tale decisione
profilo rilevante è da riconoscersi all’interesse
dell’amministrazione ad ottenere la più ampia partecipazione
alla gara, che si assume sia stata limitata da un bando che
prevedeva le abilitazioni di cui alla legge n. 46/1990 come
requisiti di partecipazione.
E’ pacifico invece, fra le parti, che i certificati di
abilitazioni di cui alla legge n. 46/1990 siano requisiti da
dimostrare in fase esecutiva (e quindi conseguibili anche in un
momento successivo all’aggiudicazione) (sul punto vi è la
chiara delibera dell’Autorità per la vigilanza sui lavori
pubblici del 17/4/2002 prodotta dall’Università appellata in
data 12/11/2002 al numero 3 del foliario in pari data).
Va quindi rilevato che la revoca è avvenuta, in sostanza per
incoerenza e contrarietà dell’azione amministrativa a canoni
di buon andamento, dimostrata dall’erronea impostazione del
bando in punto di requisiti di partecipazione e certificati di
abilitazione, sicché tanto basterebbe a giustificare l’atto
di autotutela.
Ma v’è di più, lo stesso appellante sostiene (pag. 3
dell’atto di appello e pag. 3 del ricorso al T.A.R. Campania)
che “il bando di gara non ha vietato il subappalto, né la
Commissione di gara ha assunto il contrario, avendo essa escluso
sette concorrenti per il mancato possesso delle dette
abilitazioni, che volevano perciò subappaltare, subappalto in
tal caso vietato”.
In sostanza l’appello assume che il divieto di subappalto, nel
caso di specie deriverebbe direttamente dalla legge (art. 13,
comma 7, della legge n. 109/1994) e che, in forza di esso, non
avrebbe potuto prendersi in considerazione l’intento delle
sette concorrenti di munirsi di abilitazioni ex lege n.
46/1990, ricorrendo ad imprese terze mediante il sub contratto.
In questo passaggio si rivela un
vizio logico, ovvero di inversione dell’ordine di precedenza
logica degli argomenti giuridici:
infatti se le abilitazioni ex lege n. 46/1990 sono
requisiti di esecuzione e non di partecipazione essi sono
comunque irrilevanti ai fini dell’esclusione dalla gara, non
possono essere presi in considerazione ai fini
dell’aggiudicazione, ma rilevano al momento della conclusione
del contratto, che, ove non consenta poi l’ulteriore contratto
di subappalto (come nella tesi sostenuta dalla ditta
appellante), sarà concluso solo ove l’aggiudicatario si sia
procurato le suddette abilitazioni ai fini esecutivi o si
impegni a procurarsele prima dell’inizio dei lavori
(altrimenti esponendosi ad inadempimento o revoca
dell’aggiudica).
Quindi l’argomento per cui il
divieto di subappalto vigente ex lege trasformerebbe i
requisiti di esecuzione in requisiti di partecipazione prova
troppo:
i requisiti di esecuzione rimangono tali anche se devono essere
posseduti dall’aggiudicatario al momento dell’esecuzione, ciò
non consente di ritenerli rilevanti al momento della
qualificazione alla gara (come invece ritenuto dalla commissione
nel corso della procedura revocata dal Rettore).
Da ciò l’irrisolvibile perplessità ed incoerenza
dell’azione amministrativa impostata dal bando revocato
dall’amministrazione (che richiedeva tali certificazioni ai
fini dell’ammissione alla gara), incoerenza ulteriormente
aggravata dalla circostanza per cui l’azione amministrativa si
vorrebbe salvare – dall’aggiudicatario destinatario del
provvedimento sfavorevole di revoca - in forza di un divieto di
subappalto ricavato in via interpretativa (e non tale da
incidere sulla natura del requisito della certificazione ex
lege n. 46/1990) contro il tenore testuale del bando (che
non vietava il subappalto).
L’amministrazione ha revocato considerando il suo interesse ad
impostare il bando in modo più chiaro e legittimo (sul punto
della configurazione del requisito di cui alla legge n. 46/1990
come requisito di esecuzione in conformità all’assunto
dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici).
Ciò potrebbe essere sufficiente a dichiarare l’infondatezza
della censura.
Peraltro il Collegio rileva che
la questione posta in ordine al divieto di subappalto dei lavori
compresi nella categoria OG11 va impostata in modo diverso da
quanto rilevato dall’appellante.
In sostanza si assume, nella tesi
dell’appellante – sostenuta con dovizia e serietà di
argomenti - che la categoria OG11 sarebbe riassuntiva di varie
categorie di opere speciali, si presenterebbe come assorbente
delle sottoqualificazioni, e diverrebbe rilevante ex art.13,
comma 7, della legge n. 109/1994 determinando un divieto di
subappalto per tutte le lavorazioni ivi comprese, in ricorrenza
delle condizioni previste dalla norma.Il bando – al contrario
- ammette il subappalto, sul presupposto, evidentemente
implicito, che l’art. 13, comma 7, recante il divieto di
subappalto, riguardi solo le opere speciali (categoria OS) e non
le opere generali anche se riassuntive (per sommatoria) di
diverse categorie speciali.
Il bando si muove dal presupposto che il ricorso alla categoria
generale non prevalente consenta un più ampio margine per il
subappalto, massimizzando l’interesse alla più ampia
partecipazione alla gara).
Lo stesso bando poi (contraddittoriamente) richiede il requisito
di cui alla legge n. 46/1990 quale requisito di partecipazione
(restringendo la possibilità di partecipazione alla gara).
E’ quindi evidente la
perplessità dell’atto di autolimite della lex specialis
e della successiva azione amministrativa, fatti assunti dal
Rettore a presupposto della revoca.
Rimane tuttavia da chiarire il regime giuridico della categoria
OG11 sul quale è insorta controversia.
Occorre – per inquadrare esattamente la problematica –
partire da un’esatta ricostruzione dell’ordito normativo.
L’art. 13 comma 7 della legge
n. 109/1994 nel testo previgente alla modifica apportata dalla
recente legge n. 166/2002 (non direttamente rilevante nella
causa odierna perché ius superveniens rispetto al tempo
di emanazione del bando) recitava: “Qualora nell’oggetto
dell’appalto o della concessione rientrino, oltre ai lavori
prevalenti, opere per le quali sono necessari lavori o
componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante
complessità tecnica, quali strutture, impianti ed opere
speciali e qualora ciascuna di tali opere superi altresì in
valore il 15 per cento dell’importo totale dei lavori, esse
non possono essere affidate in subappalto e sono eseguite
esclusivamente dai soggetti affidatari.”
La legge n.166/2002 ha
sostituito, nel corpo del testo, con intervento ortopedico, il
“ciascuna” con le parole “una o più”.
Infatti si era posta in giurisprudenza la questione
dell’interpretazione del termine “ciascuna”,
potendosi affacciare più tesi, tutte astrattamente compatibili
con la lettera della legge.
Tale problematica attiene alle modalità applicative del divieto
di subappalto e deve essere ricordata perché nella controversia
che ci occupa non è rilevante tanto il se il divieto di
subappalto possa riferirsi alle opere di categoria OG11 ma come
si applichi tale divieto.
Sintetizzando in breve le interpretazioni astrattamente
prospettabili di questa non certo chiara norma di legge va
rilevato che per una prima lettura, incline ad interpretare in
termini restrittivi il divieto, potrebbe ritenersi che il
divieto di subappalto scatti solo se ciascuna e tutte le opere
speciali, singolarmente prese, superino la soglia del 15 per
cento (si tratta della tesi della verifica per singoli lavori,
ma condizionata all’esito positivo per tutti e ciascuno, e con
effetto di divieto generalizzato).
Secondo un’altra lettura, molto
rigorosa ed estensiva del divieto, potrebbe ritenersi che se
anche una sola delle opere superspecializzate superi il 15 per
cento per tutte scatti l’obbligo di qualificazione diretta ed
il divieto di subappalto (tesi della verifica di incidenza per
singoli lavori, e del divieto generalizzato per tutti, anche per
quelli non superiori al 15 per cento, in ricorrenza del
superamento della soglia per un singolo lavoro).
In una prospettiva
diversa,ultrarigorista nella valutazione del presupposto del
divieto non della sua estensione, ciascuna significando tutte,
la verifica andrebbe fatta per sommatoria delle varie categorie
superspecializzate, senza rilievo del singolo lavoro ma con
effetto di divieto generalizzato se la sommatoria superi il 15
per cento (tesi della verifica per sommatoria, senza rilievo del
singolo lavoro, con divieto generalizzato a tutte le categorie
specializzate in caso di superamento della soglia per
sommatoria).
In un ultima prospettiva, la
verifica andrebbe fatta, interpretando ciascuna come ognuna, una
per una, categoria per categoria, e porterebbe al divieto di
subappalto solo per la categoria speciale che abbia superato la
soglia (tesi della verifica scissa e del divieto singolare).
La questione va rettamente
impostata ricordando l’insegnamento che in materia si può
trarre dal diritto comunitario.
Nel noto caso Holst Italia la
Corte giustizia Comunità europee, 2/12/1999, n.176/98 ha
statuito che la direttiva del consiglio 18 giugno 1992 n. 92/50/Cee,
in tema di appalti di servizi, va interpretata nel senso che
consente a un prestatore, per comprovare il possesso dei
requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione a
una gara d’appalto di servizi, di far riferimento alle capacità
di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli
che il partecipante ha con essi, a condizione che il soggetto
interessato sia in grado di provare di disporre effettivamente
dei mezzi di tali soggetti.
Il giudice comunitario con tale pronuncia supera gli aspetti
giuridico-formali, a vantaggio degli aspetti
economico-sostanziali dell’appalto, e fissa il principio per
cui, nella verifica delle capacità, rileva il fatto di poterne
effettivamente disporre, avvalendosi delle referenze di altre
imprese.
Una persona, in sostanza, non può essere esclusa da un appalto,
solo perché intende operare con mezzi che essa non detiene in
proprio, ma che appartengono ad uno o più soggetti diversi da
essa (lo stesso principio nell’ambito delle direttive sui
lavori è affermato da Corte giustizia Comunità europee,
14/4/1994, n. 389/92 c.d. Ballast Nedam Groep I per cui la
direttiva 71/304, concernente la soppressione delle restrizioni
alla libera prestazione dei servizi in materia di appalti di
lavori pubblici ed all’aggiudicazione degli appalti di lavori
pubblici tramite agenzie o succursali, e la direttiva 71/305,
che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di
lavori pubblici, vanno interpretate nel senso che consentono,
per la valutazione dei criteri cui deve soddisfare un
imprenditore all’atto dell’esame di una domanda di
abilitazione presentata da una persona giuridica dominante di un
gruppo, di tener conto delle società che appartengono a tale
gruppo, purché la persona giuridica di cui è causa provi di
avere effettivamente a disposizione i mezzi di dette società
necessari per l’esecuzione degli appalti; in caso di
contestazione, spetta al giudice nazionale valutare, alla luce
degli elementi di fatto e di diritto sottopostigli, se ciò sia
stato provato e da Corte giustizia Comunità europee,
18/12/1997, n. 5/97 c.d. Ballast Nedam Groep II per cui la
direttiva 71/304, concernente la soppressione delle restrizioni
alla libera prestazione dei servizi in materia di appalti di
lavori pubblici ed all’aggiudicazione degli appalti di lavori
pubblici tramite agenzie o succursali, o la direttiva 71/305,
che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di
lavori pubblici, vanno interpretate nel senso che l’autorità
competente a statuire su una domanda di abilitazione presentata
da una persona giuridica dominante di un gruppo è obbligata,
quando è provato che tale persona ha effettivamente a
disposizione i mezzi delle società appartenenti al gruppo
necessari all’esecuzione degli appalti, a tener conto delle
dette società per valutare l’idoneità della persona
giuridica interessata, in osservanza dei criteri di cui agli
art. 23-28 della direttiva 71/305).
I principi sottesi a tali pronunce del giudice comunitario
inducono a ritenere che letture restrittive del divieto di
subappalto (dovuto, nel nostro ordinamento a complesse ragioni
storiche ed all’influenza delle infiltrazioni criminali che
tuttavia possono essere contrastate adeguatamente calibrando la
disciplina sino a trovare un punto di equilibrio fra esigenza di
controllo e principi della concorrenza) nell’ordinamento
interno siano maggiormente conformi alle indicazioni provenienti
dal diritto comunitario (contrario a divieti generalizzati ed
aprioristici basati sul ricorso ad una certa forma negoziale).
La prospettiva di interpretazione
letterale è stata dapprima adottata da T.A.R. Lazio, sez.I II,
1/8/2001, n. 6895 secondo cui rispetto all’art.13, 7º comma,
legge 11 febbraio 1994, n.109, a norma del quale, se
nell’oggetto dell’appalto di opera pubblica rientrano lavori
di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità
tecnica e «ciascuno» di tali lavori superi altresì il
quindici per cento dell’importo totale dei lavori, esse non
possono essere affidate in subappalto e vanno eseguite
direttamente dai soggetti affidatari, l’aggettivo indefinito
«ciascuno» va letto come sinonimo di «ogni» -
«ognuno» - «uno per uno»; pertanto il citato
divieto si applica nel caso in cui ciascun lavoro particolare
abbia un valore percentuale superiore a quello prefissato,
mentre non è necessario che tutti i lavori particolari siano
complessivamente di importo superiore al quindici per cento di
quello totale.
In ogni caso, nella lettura del T.A.R. Lazio gli esiti
interpretativi erano ancora conducenti ad eccessiva ed ampia
latitudine del divieto, derivandone ancora che – fatta la
verifica categoria per categoria - il divieto operava per tutte
le opere speciali e non solo per quelle che superano la soglia
debba essere costituita un’A.T.I. (in luogo del subappalto).
Per il T.A.R. Emilia Romagna,
Sez.,I, 21 agosto 2002, n.1097 ciascuna significa, “tutte
le opere ad una ad una”, ciò in ossequio alla natura
eccezionale e derogatrice della norma, rispetto al quadro di
liberalizzazione delle modalità di scorporo delle opere e di
associazione delle imprese.Il divieto di subappalto limita la
libertà di auto-organizzazione dell’impresa, e di conseguenza
va inteso in termini di stretta interpretazione.
Ciascuno indica la totalità presa a riferimento e, per i
giudici emiliani, il divieto scatterebbe solo se tutte le opere,
singolarmente considerate, superino la soglia (in tal senso
Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici nelle delibere n.
15, 21 e n. 229 del 2001).
Il Consiglio di Stato si è
occupato di recente della questione con la nota sentenza C.d.S.,
Sezione VI, 3 aprile 2003, n. 1716 a tenore della quale in
presenza di più opere speciali, il divieto di affidamento in
subappalto previsto dall’art. 13, comma 7, della legge n.109/1994,
si applica alle sole opere altamente specializzate (indicate dal
bando come scorporabili) le quali hanno singolarmente valore
superiore al 15 per cento dell’importo totale dei lavori,
senza bisogno che, qualora vi siano altre categorie altamente
specializzate, anche le altre singolarmente considerate, siano
tutte di importo superiore al 15 per cento del valore
complessivo dell’intervento.
Per il Consiglio di Stato quindi,
la verifica va fatta categoria per categoria, ed il divieto vale
categoria per categoria (delle opere altamente specializzate)
(tesi della verifica categoria per categoria e del divieto
singolarmente operante).
In detta pronuncia si è anche
chiarito che l’inciso “una o più” introdotto dalla
Merloni-quater (legge n. 166/2002) ha valore interpretativo e
non innovativo. Ciò premesso sul piano della ricostruzione
degli approdi giurisprudenziali, va rilevato che non vi sono
pronunce nella giurisprudenza amministrativa che affrontino il
tema della applicabilità del divieto di subappalto alla
categoria generale OG11, che raggruppa in sé varie categorie di
opere altamente specializzate, utilizzata nel bando in esame,
quale categoria di lavori scorporabili.In giurisprudenza si è
ritenuto che, se il bando richiede OS28 e OS30 (ossia categoria
speciali) non possa parteciparsi alla gara con il possesso
dell’iscrizione per OG11; infatti, qualora il bando obblighi
al possesso della categoria speciale, non può esservi alcuna
fungibilità fra le diverse categorie (generale e speciale) (in
tal senso C.d.S., sez. V, n. 5976/2002).
In tale prospettiva, e ragionando
in conseguenza, dovrebbe negarsi del tutto la riferibilità del
divieto di subappalto alla categoria OG11, intesa come non
assorbente e non fungibile rispetto alle categorie speciali, con
conseguente libertà del ricorso al subappalto ed inapplicabilità
del divieto di cui all’art. 13, comma 7, della legge n.
109/1994 alle categorie generali.
Va ricordato in proposito che
l’art. 72 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, definisce le
opere generali e le opere speciali, prevedendo che ai fini dei
bandi di gara e della qualificazione delle imprese le opere ed i
lavori pubblici appartengono ad una o più categorie di opere
generali ovvero ad una o più categorie di opere specializzate.
Le opere generali sono caratterizzate da una pluralità di
lavorazioni, indispensabili per consegnare l’opera od il
lavoro finito in ogni sua parte.
Per opere specializzate si intendono le lavorazioni che,
nell’ambito del processo realizzativi dell’opera o del
lavoro necessitano di una particolare specializzazione o
professionalità.
L’art. 72, comma 4, prevede un
elenco di opere specializzate, in ricorrenza delle condizioni
indicate dall’art. 73, comma 3 (singolarmente superiore al 10
per cento dell’importo totale dei lavori o 150.000 euro).
L’art. 73 dello stesso regolamento di attuazione definisce la
possibilità di individuare, per la p.a. la categoria prevalente
e la parte e l’importo dei lavori di categoria generale o
speciale, subappaltabile oppure scorporabile.
L’art. 74 definisce la possibilità dell’impresa qualificata
in categoria prevalente di eseguire tutto se in possesso delle
adeguate qualificazioni o subappaltare, salvo quanto previsto
dall’art. 13, comma 7, della legge n. 109/1994.
Le opere generali –
scorporabili o no che siano ai fini della costituzione
dell’A.T.I. di tipo verticale – quindi sarebbero sempre
subappaltabili, salvo il divieto di cui all’art. 13, comma 7,
della legge n. 109/1994.
Il limite dell’art.13 comma 7
si riferisce testualmente alle sole opere speciali e non alle
opere di categoria generale OG11 (che ricomprende in sé una
serie di opere specializzate).
Rileva tuttavia la recente
deliberazione dell’Autorità per la vigilanza sui lavori
pubblici, n. 31 del 2002, che ha ritenuto che il divieto di
subappalto riguardi anche le categorie generali come OG11
(andando di diverso avviso rispetto ad un tesi dell’ANCE)
avendo le stesse un notevole contenuto tecnologico rilevante
complessità tecnica, identica a quella delle categorie
speciali.
Ciò al fine di evitare che le amministrazioni evitino i rigori
della disciplina del subappalto facendo ricorso alle categorie
generali aventi la medesima caratterizzazione di
specializzazione.
Il Collegio ritiene che la
delibera dell’Autorità di vigilanza porti un definitivo
chiarimento sul tema, che era stato in passato oggetto di dubbi
e che tuttavia, anche ammettendo che il divieto si applichi alle
categorie generali, esso sia applicabile in forza del loro
essere categorie caratterizzate dalla medesima specializzazione
delle categorie speciali, e quindi, una sommatoria di opere
speciali che rilevano, a questi fini, singolarmente al fine di
verificare l’applicabilità del divieto.
In altri termini se si ammettesse l’operatività del divieto
per le categorie generali senza altra specificazione in ordine
alle modalità applicative dello stesso, esso, data la sua
natura (da categoria generale) di “sommatoria delle
categorie speciali”, si applicherebbe nuovamente sommando
gli importi delle singole lavorazioni speciali, e, quindi, con
effetto di estensione generalizzata della portata del divieto,
che costituisce conseguenza indesiderata per il diritto
comunitario della concorrenza, per il legislatore della
Merloni-quater (che vuole che i divieti operino per uno o più
lavori di alta specializzazione) e dalla recente giurisprudenza
del Consiglio di Stato (C.d.S., sez. VI, n. 1716/2003).
Il ricorso alle categorie
generali per opere scorporabili – se intese come unitarie ed
assorbenti ogni valutazione relativa alla soglia del 15 per
cento - comporterebbe un generale irrigidimento della disciplina
per effetto della più ampia operatività del divieto di
subappalto, della necessità di qualificazione diretta,
dell’obbligatorio ricorso all’A.T.I. verticale.
Ritiene il Collegio che le
amministrazioni possano – tuttavia – nei bandi, contemplare
la possibilità di subappalto, costruendo la categoria generale
come non assorbente e verificando l’operatività del divieto
in relazione alla singola categoria di opera speciale compresa
nella categoria generale scorporata.
Ad es. se è vero che OG11 è una
sommatoria delle opere di cui all’art. 72, comma 4, lett. b),
d), e) ecc. è in relazione a queste singole opere speciali
definite dall’art. 72, comma 4, che andrà effettuata la
verifica del superamento della soglia del 15 per cento
dell’importo dei lavori prevista dall’art. 13, comma 7,
della legge Merloni.
In tal modo non si verifica alcuna distonia applicativa ed il
sistema del divieto di subappalto funziona in modo omogeneo,
rispetto ai lavori altamente specializzati, sia nel caso in cui
essi siano individuati in categorie del tipo OS, sia qualora
essi siano considerati come opere generali del tipo OG.
In caso contrario il ricorso a categorie generali scorporabili
quasi sempre renderebbe operante il divieto di subappalto con
irrigidimento del sistema.
In sostanza le stesse ragioni di
coerenza applicativa che impongono di applicare il divieto di
subappalto alle categorie generali, impongono di applicarlo
nello stesso modo, ossia considerando singolarmente le
lavorazioni comprese nella categoria generale, una per una e non
tutte insieme come insegna la norma interpretativa di cui alla
legge n. 166/2002 che ha modificato l’originario art. 13,
comma 7, della legge Merloni-ter.
La tesi dell’appellante si
rivela quindi fondata su un presupposto giuridicamente non
accettabile ossia la natura necessariamente assorbente, formale
ed esclusiva della categoria generale ai fini
dell’applicazione dell’art.13, comma 7, della legge n.109/1994,
limitandosi a constatare che l’importo dei lavori per detta
categoria supera il 15 per cento dell’importo totale dei
lavori, senza verificare se le singole categorie di lavorazioni
specializzate comprese nella categoria generale, singolarmente
prese, superino detta soglia.
In difetto di tale
considerazione, che doveva spettare in primo luogo alla stazione
appaltante, al fine di scegliere se rendere obbligatoria o meno
l’A.T.I. verticale (e rendere operativo o meno il divieto di
subappalto) il bando si rivela ulteriormente perplesso (infatti
esso ammette il subappalto, ma non effettua tale verifica sulle
singole lavorazioni speciali e, nel contempo, non rende
obbligatoria l’A.T.I. verticale) e, per altro verso, si
giustifica ancora la sua revoca.
In ultimo circa la dedotta
illegittimità della revoca per violazione dell’art. 34, comma
1, della legge n. 109/1994 (che ha sostituito l’art. 18, comma
3, della legge n. 55/1990), si deve rilevare che il divieto di
cui all’art. 34 riguarda le sole categorie prevalenti e non
rileva quindi nel caso di specie, che attiene a categorie
scorporabili.
Ne deriva l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
Va ora affrontato il secondo
motivo di appello, relativo alla mancata comunicazione di avvio
del procedimento, che si assume dovuta per la revoca
dell’aggiudica provvisoria.
La Sezione ritiene, con la
giurisprudenza maggioritaria, che in tal caso, trattandosi di
provvedimento adottato nel corso di una gara, alla quale
l’appellante ha presentato domanda di partecipazione,
ricevendo le informazioni necessarie dal bando e dagli altri
atti della procedura concorsuale, sia possibile omettere la
comunicazione di avvio del procedimento.
In senso analogo C. Stato, sez.V,
3/3/2001, n.1227 ha ritenuto che un atto soprassessorio della
stazione appaltante che si inserisca nel procedimento ad
evidenza pubblica, tra la fase dell’aggiudicazione provvisoria
e quella dell’aggiudicazione definitiva e della stipula
contrattuale, non richiede un autonomo avvio di procedimento, né
una particolare motivazione, risultando sufficiente la
comunicazione di non poter dar corso all’esecuzione dei lavori
per cause non dipendenti dalla propria volontà e di essere
intenzionato a procedere all’annullamento della gara
d’appalto a suo tempo esperita, con ciò preannunciando l’«annullamento»
(rectius revoca) degli atti di gara, con atto sufficiente
a concretare un avviso alla aggiudicataria.
Nello stesso senso C. Stato, sez.
V, 11/2/1999, n.160 ha ritenuto che nel caso di un provvedimento
di «non aggiudicazione» di un appalto non è necessaria
alcuna comunicazione di avvio del relativo procedimento, non
trattandosi di un atto di autotutela, bensì di un atto
conclusivo del procedimento di trattativa privata già in corso.
Nella giurisprudenza dei T.A.R.
si rinviene T.A.R. Lazio, sez. III, 27/6/2001, n. 5791 per cui
non sussiste l’obbligo di dare comunicazione dell’avvio del
procedimento per l’annullamento, in sede di autotutela, del
provvedimento che riconosce la sussistenza dei requisiti per la
partecipazione ad una gara d’appalto, posto che l’iter
della gara deve essere considerato unitariamente e, pertanto,
l’invio della lettera d’invito non pregiudica il potere
della stazione appaltante di escludere, fino al momento
dell’emanazione del provvedimento di aggiudicazione, il
concorrente risultato privo dei requisiti richiesti e T.A.R.
Campania, sez. I, 24/6/1999, n.1789 che, nell’ipotesi di
informativa antimafia sfavorevole, ha ritenuto che non sussiste
la violazione dell’art. 7, legge 7 agosto 1990, n. 241, per la
mancata comunicazione di avvio del procedimento in presenza di
delibera di ritiro dell’aggiudicazione adottata dalla stazione
appaltante: in tal caso, infatti, essa si configura quale atto
dovuto di presa d’atto di un effetto di incapacità relativa a
contrarre determinatosi in capo all’aggiudicatario in forza di
detta informativa, per cui, escluso ogni margine di riesame dei
presupposti di fatto e/o di scelta discrezionale
dell’amministrazione appaltante, non vi è alcun margine per
una partecipazione procedimentale dell’impresa.
Invero vi sono anche pronunce di
tenore diverso: per C. Stato, sez. IV, 25/7/2001, n. 4083 la p.a.,
allorché intenda procedere alla revoca dell’aggiudicazione di
una gara, è tenuta a inviare comunicazione di avvio del
procedimento, ai sensi dell’art. 7 legge 7 agosto 1990, n.
241, consentendo in tal modo all’aggiudicatario di presentare
memorie e documenti che l’amministrazione appaltante ha
l’obbligo di valutare e per C. Stato, sez. V, 24/10/2000, n.
5710 la revoca dell’aggiudicazione di un appalto di opere
pubbliche deve essere preceduta dall’avviso dell’inizio del
procedimento ai sensi dell’art. 7 legge 7 agosto 1990, n. 241
e per Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 3/6/1999, n. 232
nel caso in cui l’amministrazione intenda procedere alla
revoca dell’aggiudicazione, deve comunicare all’impresa
aggiudicataria l’avvio del relativo procedimento
amministrativo.
Ritiene il Collegio che,
componendo in modo ragionevole tale divergente giurisprudenza,
occorra distinguere l’ipotesi della revoca che intervenga
quando il procedimento di gara non si è ancora concluso dalla
revoca che intervenga dopo la conclusione del contratto (la
quale dovrebbe essere preceduta dalla comunicazione di avvio del
procedimento).
Nel caso di specie, vertendosi nell’ambito della prima
ipotesi, l’atto di revoca si inserisce in un procedimento
ancora da concludere e che ha avuto il suo inizio con
l’emanazione del bando di gara.
Il terzo motivo – relativo
all’incompetenza del Rettore - è infondato, avendo il Rettore
esercitato poteri di urgenza di cui all’art. 21 dello Statuto
dell’Università, sottoposti a ratifica, intervenuta in data
28/2/2002 (secondo le allegazioni dell’Università degli
Studi, non specificamente contestate dell’appellante nel corso
del giudizio di primo grado).
Il quarto motivo sostiene esservi
eccesso di potere per contraddittorietà e sviamento.In merito a
questo va rilevato che non è dimostrato che vi siano casi
analoghi nei quali, per bandi dello stesso genere e gare indette
dall’Università di Salerno, si siano verificate numerose
esclusioni, con conseguente violazione del principio di massima
partecipazione alla gara.Ne deriva il rigetto del quarto motivo
di appello.
L’istanza di risarcimento danni
è infondata se impostata quale azione relativa a diritto
consequenziale all’annullamento ed è infondata anche se
valutata in via autonoma come azione risarcitoria proposta
innanzi al giudice amministrativo per responsabilità
extracontrattuale da rottura di trattative, non potendosi
ravvisare una condotta colpevole dell’amministrazione che
coincida in tutto e per tutto con l’adozione di un
provvedimento legittimo.Sussistono giusti motivi per compensare
le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il
ricorso in appello indicato in epigrafe.
Compensa tra le
parti le spese di giudizio.
Ordina che la
presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in
Roma, il 13 maggio 2003, dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale - Sez.VI - riunito in Camera di Consiglio, con
l'intervento dei Signori:
Giorgio
GIOVANNINI, Presidente
Luigi MARUOTTI, Consigliere
Carmine VOLPE, Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI, Consigliere
Giancarlo MONTEDORO Consigliere, Est.-
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