REPUBBLICA ITALIANA
N. 4683/2001
REG.DEC.
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
N.
4989 REG.RIC.
Il
Consiglio di
Stato in
sede giurisdizionale, Quinta Sezione
ANNO 2001
ha
pronunciato la seguente
decisione
sul
ricorso in appello n.4989/01, proposto da DEGREMONT s.a., in
proprio e quale capogruppo mandataria dell’ATI con Degremont Italia
s.p.a., C.C.C. - Consorzio Cooperative Costruzioni, C. Gavazzi Impianti
s.p.a., So.Ge.Ma. s.r.l., in persona del
legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti
Benedetto Giovanni Carbone e Sergio Colombo, e presso lo studio del primo
elettivamente domiciliata in Roma, v.le di Villa Grazioli
n.13,
contro
il
Comune di Milano, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti
Aldo Travi, Maria Teresa Maffey, Danilo Parvopasso e Raffaele Izzo, e
presso l’ultimo elettivamente domiciliato in Roma, v. Cicerone n.28,
il
Commissariato per la realizzazione degli impianti di depurazione del
Comune di Milano, in persona del Commissario, Sindaco di Milano, non
costituito in giudizio;
e
nei confronti
di
PRIDESA s.a., in
proprio e quale capogruppo dell’ATI con Infilco Espanola s.a., Necso
Entrecanales Cubiertas s.a., Ing. Fortunato Federici s.p.a.,
Edilmediolanum s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t.,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Guido Salvadori del Prato, Serafino
Generoso e Riccardo Villata, con domicilio eletto presso l’ultimo in
Roma, v. F. Denza n.50/a,
per
l'annullamento
della
sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano,
Sez. III, del 18 maggio 2001, n. 3881, resa inter
partes, con la quale è stato rigettato il ricorso principale proposto
dall’attuale appellante avverso l’atto di aggiudicazione, in favore
della ATI Pridesa, dell’appalto concorso concernente la realizzazione
dell’impianto di depurazione di Milano Sud, ed è stato altresì
rigettato il ricorso incidentale proposto dalla predetta controinteressata
Pridesa.
Visto
il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti
gli atti di costituzione in
giudizio del Comune di Milano e della controinteressata ATI Pridesa, la
quale ha anche proposto appello incidentale;
Viste
le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti
gli atti tutti della causa;
Vista
l’ordinanza n. 3130 del 5 giugno 2001, con cui è stata accolta
l’istanza di sospensione dell’esecuzione
della sentenza di primo grado;
Visto
il dispositivo della decisione in epigrafe, n. 434 pubblicato il 27 luglio
2001;
Relatore
alla pubblica udienza del 24 luglio 2001 il Consigliere Gerardo
Mastrandrea; uditi per le parti gli avv.ti Carbone, Izzo, Travi, Villata,
Salvadori Del Prato.
Ritenuto
e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
1.
Con
bando pubblicato sull’albo pretorio il 18 giugno 1998, il Comune di
Milano ha indetto una gara pubblica, con il sistema
dell’appalto-concorso, per la realizzazione dell’impianto di
depurazione di Milano Sud, delle opere di adduzione e scarico, della
viabilità di accesso e della relativa sistemazione ambientale, indicando
come base d’asta per i lavori l’importo di 180 miliardi di lire e per
la gestione biennale l’importo di 36 miliardi di lire.
L’oggetto
della gara consisteva nella redazione di
progetti definitivi sulla base del progetto preliminare approvato
dall’Amministrazione.
I
progetti definitivi sarebbero stati valutati da apposita Commissione,
secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, con
punteggi centesimali già specificati nel bando e relativi al prezzo (45
punti su 100), alle valutazioni tecniche (42 su 100), ai costi di
esercizio (12 su 100) e al tempo di realizzazione (1 su 100).
La
Commissione avrebbe proposto al primo classificato l’affidamento
preliminare, e nei 240 giorni successivi il concorrente prescelto
avrebbe dovuto produrre a propria cura e spese il progetto
esecutivo, corredato da tutte le autorizzazioni, i pareri e i nulla-osta
del caso.
L’aggiudicazione
definitiva e la stipula del relativo contratto erano previste solo dopo
l’approvazione del progetto esecutivo da parte della Giunta Comunale
(ora da parte del Commissario delegato).
2.
Alla
gara venivano ammesse, oltre ai due raggruppamenti in causa, altre quattro
associazioni temporanee facenti capo a Ansaldo, Impregilo, Snamprogetti e
OTV.
All’esito
della procedura, che ha visto la Commissione giudicatrice protrarre i
propri lavori per quasi un anno (dal settembre 1999 all’agosto 2000),
con l’effettuazione di 32 riunioni, è risultata prima in graduatoria
l’associazione temporanea capeggiata dalla Pridesa s.a., con un
punteggio finale di 93,400, che ha preceduto l’associazione temporanea
capeggiata dalla Degremont s.a., attuale appellante, che ha conseguito il
punteggio di 86,452.
3.
Avverso
la conseguente aggiudicazione al raggruppamento Pridesa, disposta con
determinazione n.3 in data 10
agosto 2000, assunta dal Sindaco di Milano in qualità di Commissario per
la realizzazione degli impianti di depurazione di Milano, l’ATI
Degremont ha proposto ricorso
dinanzi al TAR Lombardia, prospettando
vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto molteplici
profili.
Il
Tribunale amministrativo, una volta esaminato per ragioni di priorità
logica il ricorso incidentale proposto dalla resistente ATI
aggiudicataria, peraltro ritenuto privo di fondamento, ha rigettato il
ricorso principale, pur dando atto dell’apprezzabile livello
argomentativo delle censure formulate dall’ATI Degremont.
4.
Quest’ultima
ha dunque interposto l’appello in trattazione, esperito dapprima avverso
il dispositivo della sentenza impugnata, depositato il 26 aprile 2001 col
numero n. 3158, e ha riproposto i sette motivi di censura respinti in
primo grado, formulando altresì, in via subordinata, una istanza
istruttoria relativamente alle censure esposte con il quarto, quinto e
sesto motivo di ricorso; una volta conosciuta la motivazione, ha poi
integrato, a norma dell’art.23-bis,
comma 7, della l.1034/71, introdotto dalla l.205/00, i motivi di
appello, formulando argomentazioni espressamente contrastanti con quelle
rese dai primi Giudici nella sentenza indicata in epigrafe, e comunque
confermando, in via gradata, la richiesta di istruttoria.
5.
L’ATI
Pridesa si è costituita in giudizio per resistere all’appello, ed ha
altresì proposto appello incidentale, con cui è stato in sostanza
reiterato il primo motivo del ricorso incidentale disatteso in
primo grado, volto a dimostrare, in via pregiudiziale, la presunta
illegittimità dell’ammissione alla gara dell’attuale appellante, già
ricorrente principale in primo grado,
e la sua conseguente carenza di interesse all’annullamento
dell’aggiudicazione. Nella medesima sede è stata, altresì, riproposta
anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per
nullità della notifica all’Autorità emanante, eccepita con memoria
conclusiva dinanzi al Giudice di prime cure e non esaminata dal TAR alla
luce dell’infondatezza, nel merito, del ricorso principale proposto
dalla Degremont, attuale appellante.
Anche
il Comune di Milano si è costituito in giudizio, e dopo aver parimenti
eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del gravame di primo
grado per omessa notifica all’Avvocatura dello Stato, cui ex
lege spettava la rappresentanza del Commissario delegato che aveva
emanato il provvedimento, ha chiesto la reiezione dell’appello per
infondatezza delle censure; ha
altresì aderito alla richiesta dell’appellata aggiudicataria di vedere
dichiarare inammissibile per difetto di interesse il ricorso di primo
grado, alla stregua dell’esame –doverosamente prioritario per ragioni
di logica - del gravame
incidentale.
Le
parti hanno depositato memoria.
Con
ordinanza della Sezione n.3130 del 5 giugno 2001, in accoglimento
dell’istanza cautelare formulata dall’appellante principale, è stata
sospesa l’efficacia della sentenza di primo grado.
Alla
pubblica udienza del 24 luglio 2001 il
ricorso in appello è stato introitato per la decisione.
DIRITTO
1.
E’
sottoposto all’attenzione del Collegio il contestato esito
dell’appalto-concorso, bandito dal Comune intimato nel giugno 1998, per
la realizzazione dell’impianto di depurazione di Milano Sud,
formalizzato favorevolmente nei confronti dell’ATI capeggiata dalla
Pridesa S.A., attuale appellata e appellante incidentale, con la
determinazione n.3 del 10 agosto 2000, impugnata in primo grado ed assunta
dal Sindaco di Milano nella veste di Commissario delegato per la
realizzazione degli impianti di depurazione della città di Milano.
Come
accennato in narrativa, si richiedeva ai concorrenti, a termini del bando,
la predisposizione di un progetto definitivo dell’impianto di
depurazione da realizzare, redatto sulla base del progetto preliminare già
elaborato dal Comune di Milano e comunque in stretta osservanza
delle indicazioni previste nel
Capitolato speciale d’appalto. In tal senso il bando prevedeva
espressamente l’esclusione dalla gara dei progetti che presentassero
carenze sostanziali tali da non garantire i risultati richiesti dal
Capitolato.
2.
L’ATI
appellante, avente quale impresa mandataria e capogruppo la Degremont
S.A., classificatasi al secondo posto nella graduatoria finale (con punti
86, 452 contro i punti 93,400 conseguiti dalla vincitrice Pridesa S.A.),
ha impugnato l’ammissione dell’ATI Pridesa, nonché la successiva
aggiudicazione dell’appalto alla medesima.
Il
TAR ha rigettato il ricorso, dopo aver respinto anche il ricorso
incidentale proposto dall’aggiudicataria, analizzato in via preventiva
per ragioni di priorità logica.
Con
l’appello in trattazione la Degremont ha riproposto i sette motivi del
ricorso originario, disatteso dal Tribunale di prima istanza, censurando
inoltre specificamente, una volta conosciute le motivazioni poste a
sostegno della medesima, le argomentazioni della sentenza appellata.
Nell’ambito
dell’impianto strutturale delle censure dedotte
spicca indubbiamente il primo motivo, particolarmente complesso e
articolato, con il quale si torna a sostenere la doverosa esclusione
dell’ATI vincitrice, prendendo spunto, sempre in relazione al requisito
rappresentato dai lavori eseguiti nell’ultimo quinquennio,
rispettivamente: dalla questione generale della frazionabilità del
requisito; dal problema della computabilità dei lavori espletati dalla
soc. Necso (aderente all’ATI Pridesa) per l’impianto di depurazione di
Talavera (Toledo); dalla questione della computabilità dei lavori
eseguiti dalla soc. Necso per l’impianto di Besos; infine dalla
computabilità dei lavori eseguiti dalla soc. Infilco (parimenti aderente
all’ATI Pridesa).
Con
gli altri motivi di censura, a partire dal secondo, si è fatto
riferimento, nell’ordine: all’omessa sottoscrizione del progetto
Pridesa da parte del progettista; alla mancata sottoscrizione da parte di
tutte le imprese aderenti all’ATI Pridesa del cronoprogramma e alla
rilevanza di quest’ultimo; alle pretese carenze del progetto Pridesa;
alla pretesa inattendibilità dell’offerta economica Pridesa; al preteso
difetto di motivazione nella valutazione dell’offerta Pridesa; alla
pretesa inammissibilità, infine, dell’offerta Pridesa perché anomala.
3.
Tanto
premesso, evidenti ragioni di priorità di ordine logico impongono di
prendere le mosse, anche in questo grado di giudizio, dal gravame
incidentale proposto dal raggruppamento aggiudicatario Pridesa.
In
tale ambito occorre necessariamente esaminare, avanti a
tutto, l’eccepita inammissibilità del ricorso di primo grado per
nullità della notifica all’Autorità emanante, su cui il TAR, vista la
ritenuta infondatezza del gravame, ha ritenuto di non doversi esprimere e
in merito alla quale, peraltro, il Comune di Milano
ha in questa sede di giudizio manifestato piena adesione
(giustamente senza proporre autonomo appello incidentale, trattandosi di
eccezione di inammissibilità non respinta dal Tribunale ma dichiarata
dallo stesso espressamente assorbita).
Ad
avviso dell’appellante incidentale, e del Comune intimato, non può
sfuggirsi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto
dinanzi al Giudice di prime cure, in quanto la notifica al Commissariato
per la realizzazione degli impianti di depurazione di Milano, autorità
che ha formalmente emanato il provvedimento di aggiudicazione contestato,
è da ritenersi radicalmente nulla siccome effettuata non nei confronti
dell’Avvocatura dello Stato, che tale organo (statale) rappresenta e
difende in giudizio ex lege,
bensì solo presso la sede del Comune di Milano, nella persona del Sindaco in qualità di Commissario.
L’organo
commissariale in questione è stato istituito con DPCM 19 febbraio 2000, a
seguito della dichiarazione (DPCM 21 gennaio 2000) dello stato di
emergenza determinatosi nel settore della depurazione delle acque reflue
urbane di Milano, ai sensi dell’art.5 della legge 24 febbraio 1992,
n.225; declaratoria che è seguita all’accertata impossibilità per il
Comune di realizzare il piano
di depurazione delle acque nei termini indicati dal d.lg. 11 maggio 1999,
n.152.
A
tale organo straordinario, appositamente delegato dal Governo e
assegnatario di tutti i poteri, anche in deroga alle norme vigenti,
necessari per fronteggiare lo stato di emergenza e realizzare al più
presto gli impianti di depurazione, era stato in origine preposto il
Prefetto di Milano, poi sostituito dal Sindaco a seguito dell’ordinanza
del Ministero dell’interno in data 6 luglio 2000.
L’eccezione,
pur ben argomentata, non merita però di essere accolta.
Quanto
avvenuto nella procedura di gara in argomento assume i connotati
dell’estrema peculiarità, essendosi assistito - solo per la definitiva
consacrazione dell’esito della procedura - al subentro di un altro
organo, di diversa natura, ma al cui vertice era preposta la medesima
persona fisica posta a sua volta a capo
dell’Amministrazione territoriale fino ad allora responsabile,
fin dagli esordi, di tutta la procedura di appalto.
La
procedura concorrenziale è stata completamente gestita fin dall’inizio,
salvo la mera formalizzazione dell’esito finale, dall’Amministrazione
comunale, che comunque si è costituita e regolarmente difesa in giudizio;
solo ad essa vanno in definitiva imputati gli atti e i
provvedimenti adottati nell’ambito della procedura.
La
circostanza che, nella forma, l’aggiudicazione definitiva dell’appalto
sia stata disposta dal “dott. Gabriele Albertini”, senza apposizione
di alcuna qualifica, seppur su atto intestato al Commissariato per la
realizzazione degli impianti di depurazione non muta, nella sostanza, il
quadro.
Non
risulta, difatti, che la determinazione finale di aggiudicazione sia stata
adottata dal Sindaco di Milano nell’espletamento dei poteri straordinari
e derogatori espressamente attribuitigli dai citati provvedimenti
governativi, del cui esercizio nella fattispecie non si ravvisa alcuna
traccia.
Fondata
si appalesa, dunque, l’argomentazione del raggruppamento appellante, che
insiste sulla riconducibilità di tutti gli atti procedurali coinvolti
nella fattispecie, comprese le determinazioni finali, alla “ordinaria”
sfera di imputabilità e di responsabilità del Comune di Milano, con la
conseguenza che la particolare veste formale assunta dal provvedimento
impugnato in primo grado non può rivestire rilevanza decisiva nel senso
di distrarre, anche ai fini della rappresentanza in giudizio, l’atto
dalla sfera delle attribuzioni dell’Amministrazione locale.
In
ogni caso, in disparte gli altri profili, per certi versi di non immediata
conferenza, dedotti dall’appellante circa le competenze del Sindaco come
autorità comunale di protezione civile, a norma dell’art.15, comma 3,
della legge 24 febbraio 1992, n.225, nonché circa la ritualità della
notifica dell’atto presso la sede comunale nel caso di esercizio, da
parte del Sindaco, di funzioni di Ufficiale di governo (ma in entrambi i
casi si tratta, a differenza dell’ipotesi
de qua, di funzioni
assunte dal Sindaco ratione officii,
dunque proprio in quanto
Sindaco, e pertanto è tale circostanza a giustificare la possibilità di
notificare il ricorso presso il Comune di pertinenza), ed infine in
relazione alla presunta assorbente sanatoria della irritualità in virtù
della costituzione e resistenza in giudizio da parte
dell’Amministrazione comunale (che però ha espressamente distinto - in
sede di giudizio - la propria posizione da quella del Commissario
delegato), sarebbero sussistiti comunque, alla stregua anche delle
considerazioni e circostanze sopra riportate, gli estremi per la
concessione della rimessione in termini - per errore scusabile - in favore
del raggruppamento appellante (che peraltro ha affermato di aver nel
frattempo proceduto, seppur per mero tuziorismo, alla notificazione del
ricorso e dei motivi di appello nei confronti dell’Avvocatura Generale
dello Stato).
Come
già accennato, infatti, l’appalto concorso è stato promosso, ormai
oltre tre anni fa, ed
espletato in tutte le sue fasi procedurali a cura del Comune di Milano.
Solo
a conclusione della procedura di gara, ed al fine dell’esercizio di non
meglio noti poteri eccezionali e derogatori, sarebbe intervenuto
l’avvicendamento nella posizione di autorità procedente, peraltro senza
mutamento della persona fisica preposta.
Di
tale avvicendamento, e delle
relative motivazioni e conseguenze, non risulta essere stata data,
relativamente alla procedura di gara in argomento, alcuna notizia o
comunicazione specifica ai raggruppamenti partecipanti. L’appellante ne
ha dunque potuto prendere contezza, senza cognizione della natura e della
fonte dei poteri attribuiti al Commissario, né delle modalità e dei
termini del subentro, solo in occasione del provvedimento di
aggiudicazione impugnato.
Non
a caso, riporta la Degremont, anche il ricorso incidentale proposto in
primo grado dalla Pridesa è stato notificato al Commissario in questione
presso la sede comunale.
In
definitiva, all’aver eseguito la notificazione
del ricorso sia al Comune di Milano che al predetto Commissario
delegato, in persona del medesimo legale rappresentante, presso la sede
della casa comunale non può conseguire di per sé l’inammissibilità
del gravame di primo grado per nullità della notifica.
4.
Nel merito, l’appello incidentale proposto dal raggruppamento
vincitore non merita accoglimento.
In
primo grado l’ATI Pridesa
aveva presentato ricorso incidentale, lamentando, con il primo motivo, che
l’ATI Degremont non avrebbe adeguatamente rispettato la prescrizione di
cui al punto e) del bando, imposta a pena di esclusione, secondo cui la
domanda di partecipazione doveva essere corredata da “un elenco di uno o
due lavori eseguiti nell’ultimo quinquennio (dal 1993 al 1997) nella
categoria A.N.C. richiesta per un importo pari ad almeno 0,40 volte quello
a base d’asta (180 miliardi) se comprovato con un solo lavoro e ad
almeno 0,50 volte quello a base d’asta se comprovato con due lavori”.
Si trattava, in altre parole, dapprima di dichiarare, e poi di
documentare, l’esecuzione di un lavoro per un importo di 72 miliardi di
lire ovvero di due lavori per un importo di 90 miliardi di lire.
In
particolare la Pridesa aveva rilevato, a carico della Degremont, la
mancanza di una congrua
successiva documentazione del requisito dichiarato, affidata com’era ad
un certificato inadeguato.
Tale
difetto di documentazione doveva comportare l’inammissibilità
dell’offerta Degremont e,
quindi, l’inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di
interesse, non essendo tra l’altro praticabile, visto anche il numero
dei partecipanti, l’ipotesi di un interesse al mero rifacimento della
gara.
Il
TAR, pur condividendo la necessità di esaminare con priorità il ricorso
incidentale, potendo riverberare questo sull’interesse a ricorrere
dell’originaria ricorrente, ha disatteso le conclusioni della Pridesa,
ritenendo che la ricorrente principale avesse formalmente osservato le
disposizioni della lex specialis
di gara, sia per quanto concerne la presentazione dell’elenco dei lavori
ai fini della qualificazione che ai fini della presentazione della
certificazione richiesta dalla lettera di invito.
I
primi Giudici hanno, altresì, ritenuto opportuno premettere che la
procedura concorsuale di cui si discute presentava caratteristiche di
eccezionale urgenza ed importanza per la città di Milano (e per alcuni
dei comuni limitrofi). La complessità dell’impianto da realizzare e
l’entità non certo indifferente del relativo impegno economico si
rifletteva ovviamente sulla selettività dei requisiti di ammissione dei
concorrenti. Se quindi era necessario, da un lato, verificare attentamente
il possesso dei requisiti richiesti per assicurare la partecipazione alla
gara solo di imprese e raggruppamenti pienamente affidabili e qualificati,
dall’altro occorreva operare tale verifica
applicando le regole della lex
specialis in maniera non
formalistica, privilegiando i dati sostanziali emergenti dalla complessa
documentazione prodotta dalle imprese e favorendo la più ampia
partecipazione di concorrenti, tanto più necessaria in considerazione del
numero, inevitabilmente ristretto, dei potenziali aspiranti
all’ammissione alla gara. In altre parole, secondo i Giudici di prime
cure, non si poteva correre il rischio di escludere
dalla procedura concorsuale, per carenza dei requisiti di
ammissione, candidati dalla cui documentazione, seppur non formalmente
ineccepibile, potesse comunque
desumersi il possesso dei requisiti medesimi.
Con
l’appello incidentale l’appellata Pridesa ha riproposto esclusivamente
il mezzo di censura in questione, nella specie tornando a contestare che
il certificato prodotto dalla mandataria Degremont S.A., relativo
all’esecuzione del contratto di progettazione e realizzazione della
“Stazione di Colombes”, in raggruppamento con O.T.V. (altra società
che ha partecipato quale mandataria alla gara bandita dal Comune di
Milano), per un valore di 1.970.000.000 di franchi francesi incluso genio
civile, fosse idoneo, sotto molteplici profili, a dimostrare il possesso
del requisito richiesto.
In
particolare esso non preciserebbe né la quota di partecipazione di
Degremont al raggruppamento di imprese, né l’ammontare dell’importo
delle generiche opere di genio civile, né, infine, la percentuale delle
opere riferibili alla categoria prevalente corrispondente alla categoria
A.N.C. 12A.
L’appello
incidentale, relativamente al quale il Collegio condivide pienamente la
necessità di un esame prioritario per i riflessi sull’interesse a
ricorrere della ricorrente originaria, in questa sede appellante
principale, va comunque disatteso e non tanto per le considerazioni, in
parte di opportunità e di
carattere metagiuridico, poste dal TAR a premessa e conforto del corredo
motivazionale.
Risulta,
infatti, che la Degremont, in scrupolosa osservanza delle prescrizioni del
citato punto e) del bando, che non prevedeva per l’inizio la
presentazione di certificati attestanti l’entità e la tipologia dei
lavori eseguiti, abbia espressamente dichiarato, in sede di
prequalificazione, di aver eseguito un lavoro corrispondente alla
categoria A.N.C. richiesta
nel periodo 1993-97 per un importo di oltre 180 miliardi di lire,
ampiamente superiore dunque ai
livelli minimi indicati dal bando. Di tale commessa, relativa come
necessario ad un impianto di depurazione, risultano
essere stati forniti gli estremi più rilevanti, ovvero stazione
appaltante, natura e importo totale dell’opera, anni di inizio e fine
dei lavori, acquisizione in raggruppamento con la O.T.V..
Nell’ambito
di tali informazioni la Degremont ha espressamente dichiarato l’importo
di sua competenza eseguito nel quinquennio di interesse.
Superata
dunque positivamente la fase di prequalificazione, la Degremont è stata
poi chiamata a presentare, in ottemperanza alla prescrizione di cui al
punto 7 dell’Allegato A alla lettera di invito, e non quindi del bando,
i “certificati in lingua italiana di buon esito di uno o due lavori
dichiarati nella domanda di partecipazione ai sensi della lettera e) del
bando integrale di gara”.
Orbene,
contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante incidentale e aderendo
alle considerazioni dei primi Giudici, il “certificato di capacità”
in data 22 marzo 1999, rilasciato dalla stazione appaltante francese e
relativo al lavoro suindicato, è idoneo a soddisfare la prescrizione
della lettera di invito, che non richiedeva particolari ulteriori
specificazioni in ordine alla natura ed all’importo dell’appalto. Non
è al riguardo necessario, in disparte la sua ammissibilità, il
riferimento all’ulteriore documentazione
depositata da parte della Degremont in corso di giudizio, a
comprova della veridicità della certificazione presentata a tempo debito.
La
stazione appaltante, che nel caso della Degremont non ha ravvisato
l’esigenza di formulare richiesta di chiarimenti a norma dell’art.21,
comma 3, del d.lg. 406/91, era in effetti tenuta ad acquisire dai concorrenti unicamente la formale e certificata
conferma dell’esecuzione e del buon esito del lavoro o dei lavori
indicati in sede di prequalificazione.
Quanto
alla mancata indicazione in forma separata delle opere di “genio
civile” è sufficiente rilevare che tali opere, di incidenza
presumibilmente irrilevante visto l’ampio margine di superamento del
limite minimo di importo richiesto dal bando di gara, possono essere
individuate come le opere civili accessorie all’impianto di depurazione,
da ricomprendersi nell’importo
dell’appalto dichiarato per la qualificazione, così come del resto
avvenuto anche per le opere relative al depuratore di Milano Sud.
L’appello
incidentale deve essere in definitiva respinto.
5.
Con
il primo dei motivi dell’appello principale la Degremont ha riproposto
il primo mezzo di censura del ricorso di primo grado, relativamente alla
presunta illegittimità dell’ammissione alla gara dell’offerta dell’ATI
Pridesa per mancanza dei requisiti minimi di partecipazione e per falsità
delle dichiarazioni rese in sede di prequalificazione.
Viene
ad essere nuovamente coinvolto il citato punto e) del bando, in relazione
alla necessità di comprovare l’esecuzione di uno o due lavori, per la
categoria ANC 12A, di importo almeno pari, rispettivamente, a 0.40 o 0.50
volte la base d’asta (per un importo assoluto dunque di 72 ovvero di 90
miliardi).
La
censura è articolata su tre profili, in parte connessi.
Con
il primo profilo di doglianza l’appellante contesta in generale il
principio della frazionabilità,
in caso di associazione temporanea di imprese, del requisito attinente
agli specifici lavori eseguiti nella categoria prevalente per determinati
importi.
In
effetti nessuno dei lavori dichiarati dalle imprese del costituendo
raggruppamento, poi risultato vincitore, raggiungeva, nella sua singolarità,
l’importo minimo di 72 miliardi richiesto dal bando di gara
per un lavoro nella categoria 12A, né sommando i due lavori di
importo più alto si otteneva comunque l’importo minimo di 90 miliardi,
richiesto invece per due lavori nella predetta categoria.
Ad
avviso dell’appellante principale il raggruppamento aggiudicatario
andava quindi senz’altro escluso per difetto dei requisiti minimi di
partecipazione, da valutarsi per l’intero rispetto ad ogni singola
impresa associata.
La
Degremont, pur insistendo nella doglianza, ha comunque preso atto che di
recente questo Consesso, riformando la
pronunzia di primo grado più volte richiamata dalla medesima negli
atti di causa (T.R.G.A., Trento, 7 settembre 1999, n.307), ha affermato
che una lettura sistematica degli artt. 6, comma 1, lett. d) (che
individua il requisito nella “esecuzione, nell’ultimo quinquennio, di
uno o due lavori della categoria prevalente” il cui importo “è
richiesto nella misura variabile tra 0,4 e 0,5 volte quello a base
d’asta, qualora comprovato da un solo lavoro, e nella misura variabile
tra 0,5 e 0,6 volte l’importo a base d’asta qualora comprovato da due
lavori”; nella specie il bando ha optato per la misura minima) e 8
(secondo cui qualora alla gara prenda parte un’associazione temporanea
di imprese “i requisiti finanziari e tecnici – sempreché frazionabili
- previsti nei precedenti articoli per l’impresa singola, devono essere
posseduti nella misura variabile tra il 40% ed il 60% dalla capogruppo, e
la restante percentuale cumulativamente dalla o dalle mandanti, a ciascuna
delle quali deve essere richiesta una percentuale variabile tra un minimo
del 10% ed il massimo del 20% di quanto richiesto cumulativamente”) del
DPCM 55/91 lascia spazio alla frazionabilità del requisito in questione
in caso di partecipazione alla gara di un’associazione temporanea, salva
l’osservanza delle percentuali minime stabilite rispettivamente per la
mandataria e le mandanti (Cons. Stato, VI, 22 marzo 2001, n. 1682).
I
rischi paventati dal Tribunale di prima istanza trentino, non condivisi
peraltro dalla pronunzia impugnata di cui in epigrafe, relativamente ai
possibili effetti perversi connessi alla partecipazione di associazioni
costituite da imprese singolarmente del tutto inadeguate rispetto alla
consistenza dei lavori da appaltare, risultano in effetti neutralizzati
dalla previsione (art.8 DPCM n.55 del 1991) di percentuali minime che
tanto la mandataria quanto le mandanti devono osservare nel dichiarare
il possesso del requisito in questione. Lungi così dal consentire
una polverizzazione tra una platea indefinita di imprese individualmente
non dotate di una pregressa esperienza nel settore, la disposizione
esaminata sembra rispondere ad una logica di equilibrato bilanciamento tra
le finalità sottese all’istituto dell’associazione temporanea, tra
cui sicuramente il favor per la
più ampia partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica,
nell’interesse della concorrenza e dell’individuazione del miglior
offerente, e la necessità di evitare, per l’appunto, l’ammissione
alle gare di soggetti inadeguati, nella loro individualità, a garantire
una corretta esecuzione dei lavori da affidare.
Le
suddette conclusioni, condivise dal Collegio, sono nella specie
ulteriormente avvalorate dalla
circostanza che la formulazione del bando di gara, come rilevato dai primi
Giudici, era chiaramente nel senso della frazionabilità del requisito in
questione, laddove precisava che “in caso di associazione temporanea di
imprese i suddetti requisiti dovranno essere posseduti dalle imprese
capogruppo e dalle imprese mandanti almeno nelle misure minime indicate
all’art.8 del DPCM n.55 del 1991”.
Una
simile interpretazione appare ancor più convincente se si considera la
particolare entità economico-finanziaria dell’appalto bandito nella
fattispecie dal Comune di
Milano, la quale fa sì che gli importi minimi determinati
dall’applicazione di dette percentuali siano comunque idonei a
dimostrare l’affidabilità del raggruppamento e delle singole imprese
associate, senza per questo impedire un attendibile confronto
concorrenziale, per lavori di così rilevante entità, in un ambito da
aprirsi alla ampia partecipazione anche delle forme associative
imprenditoriali.
Né
si ravvisano, relativamente all’inciso “sempreché frazionabili”
contenuto nell’art.8 del DPCM 55/91, ostacoli decisivi alla concreta
frazionabilità dello specifico requisito in argomento, e questo non tanto
in base alla previsione del bando, quanto, soprattutto, in virtù
dell’intrinseca natura del requisito, che non preclude una sua
frazionabilità.
Il
primo profilo di lagnanza si appalesa dunque infondato.
6.
Maggiore
attenzione, e peraltro diversa sorte, merita il secondo profilo censorio
riproposto nell’ambito del
primo mezzo di appello, relativo alla presunta inammissibilità
dell’offerta Pridesa per mancato raggiungimento, in concreto, degli
importi minimi dei lavori eseguiti, prescritti dal bando sulla base dello
schema tipo di cui al DPCM 55/91.
Appurata
la frazionabilità del requisito in questione (realizzazione da parte dei
concorrenti di uno o due lavori eseguiti nel quinquennio 1993-1997 nella
categoria prevalente – ovvero cat. 12A ANC, impianti di depurazione –
per un importo pari ad almeno 72 miliardi di lire se comprovato con un
solo lavoro e ad almeno 90 miliardi se comprovato con due lavori), i
Giudici di prime cure hanno precisato che la fondatezza della censura
della Degremont, in questa sede riproposta, andava valutata verificando il
raggiungimento, o meno, del complessivo importo di 90 miliardi di lire,
avendo le imprese del raggruppamento Pridesa dichiarato più di un lavoro
ciascuna.
La
considerazione del Tribunale è condivisibile, come merita adesione anche
la precisazione che gli importi da considerare sono quelli dichiarati
dagli stessi concorrenti in sede di prequalificazione. Le più elementari
esigenze di tutela della par
condicio dei partecipanti e di certezza della posizione dei predetti
impongono, infatti, di non prendere in considerazione ex post meccanismi rivalutativi delle somme
dichiarate in prequalifica (cosicché, ad esempio, l’importo dei
lavori eseguiti da Pridesa per l’impianto di Shanghai, espresso in
dollari, non può lievitare alla luce del diverso tasso di cambio vigente
al momento della verifica, a cura del Comune appaltante, dei certificati
prodotti a riprova dei requisiti dichiarati dai concorrenti).
Tanto
premesso, ha ragione l’appellante Degremont a lamentare che l’ATI
Pridesa, pur avvalendosi del frazionamento del requisito in argomento, non
possedeva comunque il requisito complessivo richiesto dalla lex
specialis e andava dunque estromessa dalla gara.
La
somma dei cinque lavori dichiarati dall’appellata in sede di
prequalificazione era, infatti, pari a 86 miliardi di lire.
Non
può farsi riferimento per il raggiungimento del prescritto limite minimo
al sesto lavoro, relativo all’impianto di Talavera (per un importo di
circa 16 miliardi), non correttamente dichiarato in sede di prequalifica
ai fini della dimostrazione del requisito, ma semplicemente riportato in
un’autonoma e generica dichiarazione afferente non meglio precisati
“lavori in corso”.
Né
all’uopo possono essere richiamate, come tentato dai primi Giudici, le
considerazioni di opportunità già svolte in sede di esame del ricorso
incidentale di primo grado, circa l’esigenza di applicare le regole
della lex specialis in modo non
formalistico.
Come
di recente evidenziato dalla Sezione, deve essere, infatti, preservata
l’autonomia della fase di prequalificazione e di verifica del possesso
dei requisiti rispetto alle fasi vere e proprie di gara, intese come
espletamento del confronto concorrenziale.
La
dichiarazione del possesso dei requisiti e la relativa verifica da parte
della stazione appaltante seguono necessariamente un autonomo iter
procedimentale, relativamente al quale
devono essere pienamente garantiti i principi della concorsualità e della par
condicio dei concorrenti, senza che possano accettarsi interferenze
dell’Amministrazione; interferenze che sarebbero rappresentate anche
dalla consentita integrazione di elementi a comprova del possesso di
requisiti, al di fuori di quelli dichiarati dall’impresa concorrente,
per il tramite di atti destinati ad altre o comunque non meglio
identificate finalità (cfr. in tema Cons. Stato, V, 15 maggio 2001,
n.2713).
7.
In
ogni caso, anche se si tenesse conto del sesto lavoro relativo
all’impianto di Talavera, assumerebbe portata decisiva e assorbente, ai
fini della inammissibilità
dell’offerta Pridesa, la non conferenza del certificato EMSSA prodotto
dalla mandante Necso in relazione ai lavori di Sant’Adria del Besos (per
un importo di circa 18 miliardi di lire), senza i quali non verrebbe
comunque raggiunta la soglia minima di 90 miliardi di lire.
Il
lavoro relativo all’impianto di Besos, sulla base della certificazione
presentata a tempo debito ai fini della verifica dei requisiti dichiarati
in sede di prequalificazione, risulta estraneo alla categoria prevalente
(12A) richiesta dal bando.
Il
certificato di buona esecuzione rilasciato in data 30 novembre 1995 dalla
stazione appaltante EMSSA e prodotto dalla Necso in sede di gara attesta,
infatti, l’esecuzione di lavori concernenti la realizzazione di un
emissario sottomarino di 2.952 metri, che nulla hanno a che vedere con un
impianto di depurazione, e che non a caso nel certificato sono fatti
espressamente rientrare nell’ambito della categoria F8 dell’Albo
spagnolo (opere marittime), corrispondente alla categoria 13A dell’Albo
italiano, e non, come necessario, nell’ambito della categoria K8
dell’Albo spagnolo, corrispondente alla categoria richiesta dal bando
per l’aggiudicazione dell’appalto dei lavori di realizzazione
dell’impianto di depurazione di Milano Sud (12A).
Né
a tale decisiva carenza la Pridesa ha ovviato mediante il deposito in
giudizio della ben più recente documentazione certificativa, rilasciata
dalla EMSSA in data 12 giugno 2001, successivamente al motivato
accoglimento, da parte della Sezione, dell’istanza di tutela cautelare
formulata da parte
dell’appellante.
In
disparte la evidente inammissibilità - posta a tutela, per le motivazioni
già esposte, dell’ineludibile esigenza di
par condicio fra i
concorrenti - di tardive (e comunque non rispondenti a richieste di
chiarimenti dell’Amministrazione) integrazioni o correzioni delle
certificazioni non conferenti o incomplete, relative ai requisiti
dichiarati, va nondimeno sottolineato, in adesione alle osservazioni
dell’appellante principale, che anche il nuovo certificato non attesta
efficacemente se e in che
misura l’impresa Cubiertas
y Mzov (poi confluita nella Necso) abbia eseguito opere rientranti nella
categoria degli impianti di depurazione (12A), richiesta a pena di
esclusione dal bando.
Nel
documento da ultimo citato, infatti, si attesta: che la descrizione dei
lavori dell’emissario sottomarino con la ripartizione degli importi per
ciascun anno, di cui al certificato in data 30 novembre 1995, fu fatta al
fine di consentire la qualificazione nella categoria F8 (opere marittime);
che l’impresa Cubiertas y
Mzov “partecipò” sia alle opere dell’emissario che a quelle
dell’impianto di pompaggio con una quota di partecipazione pari al 30%
dell’importo totale dei lavori.
Entrambe
le circostanze da ultimo attestate nulla di nuovo aggiungono, per quanto
qui di interesse, alla certificazione prodotta in sede di gara, non
essendo indicati in modo espresso i lavori eventualmente ricadenti (e per
quale importo) nella categoria spagnola
corrispondente alla categoria 12A richiesta dal bando.
E’
allora evidente come la fattispecie non sia accostabile alla questione
dell’ammissibilità dell’offerta Degremont, dedotta dall’appellata
con l’appello incidentale, trattandosi non di connotati di
individuazione, eventualmente insufficienti, del lavoro eseguito,
ricadente però con apprezzabile certezza nella categoria richiesta, bensì
di lavoro che, secondo la stessa certificazione esibita, appartiene a
categoria diversa da quella prescritta a pena di esclusione dal bando.
Né
l’attinenza dei lavori dichiarati e certificati può essere in
extremis recuperata mediante un problematico passaggio interpretativo,
come quello adottato dal Tribunale di prima istanza, che ha presunto in
via residuale, senza elementi fattuali di riscontro, che la Cubiertas, e
non altre ditte, abbia eseguito anche i lavori di realizzazione della
stazione di pompaggio, ritenuti conferenti alla categoria pretesa dal
bando del Comune di Milano.
Non
può infatti dimenticarsi che le certificazioni, attesa la funzione ad un
tempo dichiarativa e certativa da essi rivestita, ed in quanto tra
l’altro non espressione di un potere discrezionale, vanno prese in
considerazione esclusivamente in relazione al formale ed esplicito apporto
di certezza che esse recano; non a caso fa fede
fino a querela di falso o, comunque, fino a prova contraria
quanto in esse esplicitamente riportato.
La
certificazione del 30 novembre 1995, unica a potere essere presa in
considerazione, dovendosi salvaguardare, a tutela di tutti i partecipanti,
l’autonomia della fase di dichiarazione e verifica dei requisiti in sede
di prequalificazione, attestava soltanto i lavori eseguiti dalla Cubiertas
(che ha poi conferito il ramo d’azienda delle costruzioni alla
dichiarante Necso) per l’emissario sottomarino (si veda chiaramente il
punto 3° del certificato),
lavori, come detto, non riconducibili alla categoria prescritta.
Tutto
il resto, compreso l’esatto importo dei lavori eventualmente
riconducibili alla categoria degli impianti di depurazione (in quanto
lavori inerenti alla stazione di pompaggio), andrebbe ricavato in via
indiretta e per esclusione dalla suddetta certificazione, ma questo non è
ammissibile, in considerazione della funzione certativa e dichiarativa
assolta dalla medesima con riferimento a quanto, e solo a quello, in essa
esplicitamente riportato.
La
certificazione del 12 giugno 2001 non può porre rimedio in via
integrativa a tale carenza, né del resto, come accennato, riesce ad
ottemperare efficacemente, nel merito, a tale scopo.
Il
profilo, nella sua fondatezza, assume portata assorbente.
L’offerta
dell’ATI Pridesa andava dunque esclusa.
8.
Alla
stregua delle considerazioni sopra riportate, potendo il Collegio
ritenersi esonerato dall’analisi delle restanti censure, dedotte con il
terzo profilo di doglianza – sollevato in via gradata -
inserito nel primo motivo e con gli altri mezzi di appello,
l’appello principale, in definitiva, merita accoglimento. Ne consegue,
in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento del ricorso di primo
grado proposto dall’attuale appellante principale e quindi
l’annullamento della determinazione di aggiudicazione in favore dell’ATI
Pridesa.
Le
spese di lite, relativamente ad entrambi i gradi di giudizio, possono
essere compensate tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta,
definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo
accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie
il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento della
determinazione di aggiudicazione dell’appalto in favore dell’ATI
Pridesa.
Respinge,
altresì, l’appello incidentale proposto da quest’ultima.
Compensa
integralmente tra le parti le spese di lite relativamente ad entrambi i
gradi di giudizio.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma, il 24 luglio 2001, dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l'intervento
dei seguenti Magistrati:
Pasquale
de Lise
Presidente
Pier
Giorgio Trovato
Consigliere
Giuseppe
Farina
Consigliere
Goffredo
Zaccardi
Consigliere
Gerardo
Mastrandrea
Consigliere est.
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
f.to
Gerardo Mastrandrea
f.to Pasquale de Lise
IL
SEGRETARIO
f.to
Francesco Cutrupi
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